Repubblica 9.9.18
Il nuovo studio
Il coraggio e i Colleoni
di Marino Niola
Il
coraggio si trova nei luoghi più impensati, diceva Tolkien. Forse per
questo, da che mondo è mondo, gli uomini lo hanno sempre cercato in ogni
dove. Nei meandri del corpo e nei ripostigli dell’anima, nella speranza
di trovarne almeno quel briciolo che basti a non farsi sopraffare dalle
proprie paure. Adesso due neuroscienziati annunciano di aver scovato il
nascondiglio. I ricercatori, lo svedese Klas Kullander dell’Università
di Uppsala e il brasiliano Richardson Leao dell’Ateneo di Rio Grande,
hanno pubblicato sulla rivista Nature Communications i risultati di uno
studio, secondo il quale la centrale del coraggio si troverebbe nei
cosiddetti neuroni dell’ippocampo.
Se siamo davanti a uno storico
score scientifico è ancora presto per dirlo, ma la notizia sta già
facendo sognare. Sia quelli che pensano di non avere abbastanza
coraggio, sia quelli che sanno per certo di non poterselo dare da soli,
come il don Abbondio manzoniano. E allora ben venga un farmaco, un
microchip, un placebo incoraggiante che faccia friccicare nella maniera
giusta quei neuroni, che, a detta degli studiosi, «a seconda del ritmo
diverso con cui si attivano, fanno sì che un topo sia spaventato dal
pelo di un gatto oppure non ne sia per nulla impressionato » . Il che,
trasposto qualche gradino più in su della scala evolutiva, significa che
se l’ippocampo ci gira bene davanti a un rapinatore, anziché farcela
sotto, saremmo in grado di reagire col sorriso sulle labbra prima di
passare al contrattacco.
Resta il fatto che Kullander e Leao
continuano, con gli strumenti di oggi, un’indagine iniziata da millenni.
E che ha cercato ogni volta in un organo diverso la sede del coraggio. A
partire dal cuore, da cui viene la parola stessa coraggio, che deriva
dal latino coraticum, che significa letteralmente "aver cuore". Come il
quasi invulnerabile Achille, o il leggendario re Riccardo, passato alla
storia come il "Cuor di Leone". Poi col tempo l’audacia e lo sprezzo del
pericolo hanno traslocato al piano inferiore e sono andati a sistemarsi
nel fegato. Essere dotato di fegato è stato ed è ancora sinonimo di
valoroso, eroico, impavido. Lo raccontava già la mitologia greca che
faceva di Prometeo, l’eroe che ha l’ardire di rubare il fuoco agli dei
per donarlo ai mortali, l’uomo di fegato per antonomasia. Tant’è vero
che Zeus lo punisce facendogli divorare h24 il fegato da un’aquila. In
tempi più recenti la location è scesa ancora più in basso e ha scelto un
indirizzo genitale. Coraggioso è chi ha le palle. Ne sapeva qualcosa
Bartolomeo Colleoni, il fiero capitano di ventura il cui nome di
famiglia derivava dal latino coleus, testicolo. Ne andava così
orgoglioso che ne mise ben tre sul suo stemma nobiliare. E andava in
battaglia gridando «Coglia, coglia » , un’esternazione dal senso
inequivocabile. Per la stessa ragione cibarsi di testicoli di toro in
Spagna e in altri Paesi a machismo spinto è roba da persone con gli
attributi. Come dire una virilità ad alto tasso di testosterone. E
adesso la scienza potrebbe aiutarci a cancellare per sempre la paura.
Attenzione però alle controindicazioni di un coraggio senza limiti. È
vero che siamo nella civiltà della competizione spinta. Ed è vero pure
che quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Ma non è
detto che vincano. In fondo, come dicono gli etologi, la paura è il più
geniale espediente inventato dall’evoluzione per decidere quando
conviene osare e quando scappare. Al contrario, non temendo più niente e
nessuno, rischiamo di trasformarci in un esercito di colleoni.