Repubblica 8.9.18
Toronto Film Festival
Michael Moore
“Il fascismo è ormai tra noi E adesso gli Stati Uniti sono come l’Italia”
intervista di Filippo Brunamonti
TORONTO
«Il fascismo in Italia non sta tornando. È già tra voi”. Non fa sconti
il regista Michael Moore, premio Oscar per “Bowling for Columbine”,
cappellino dei Los Angeles Dodgers in testa, quando gli chiediamo un
commento sui segnali d’eco trumpiani. «Il fascismo è radicato nel vostro
Paese, per noi è una realtà nuova». Il papà del docu-fiction, 64 anni, 6
milioni di followers su Twitter, torna al Toronto Film Festival con il
documentario Fahrenheit 11/9 (il rimando è al 9 novembre, giorno in cui
Trump è stato eletto presidente). «Nel 2016 sono stato tra i pochi ‘di
sinistra’ ad azzeccare la sconfitta di Hillary Clinton, per questo
Fahrenheit si apre il 7 novembre 2016 a Philadelphia, alla vigilia dei
risultati, tra supporter euforici e Trump sbeffeggiato dai media.
Sappiamo
poi com’è andata» sorride. «Se torniamo a fare politica seria, i leader
xenofobi e razzisti della Terra non andranno più da nessuna parte. I
fascisti perderanno. Il loro punto di forza siamo proprio noi: non li
abbiamo mai presi sul serio. Grosso errore!».
Fahrenheit 11/9, in
uscita il 21 settembre, lancia una campagna anti-Trump in tutto il
mondo, partita da Broadway (lo show The Terms of My Surrender) e chiusa
con tiepidi risultati. Il tweet di Trump non si è fatto attendere: “Lo
show di Michael-Moore-Lo-Sciatto si è rivelato un fiasco clamoroso ed è
stato costretto a chiudere!”. Moore controbatte: «Con Trump alla Casa
Bianca dobbiamo comportarci come se fossimo in piena Resistenza
francese. Trump è il mostro di Frankenstein, noi siamo i suoi dottori».
Nel film, Moore fa doppiare un intero discorso di Hitler a Trump,
paragona l’America alla Germania nazista, chiama a raccolta i Flint
Whistleblowers, un gruppo di cittadini che ha denunciato l’inquinamento
dell’acqua in Michigan, e si confronta con i ragazzi superstiti alla
strage di Parkland.«Prevedo uno tsunami di elettori stavolta,
soprattutto donne, giovanissimi e afroamericani» dice. «Dove sono Tom
Hanks, Oprah, Michelle Obama? Abbiamo bisogno di loro per parlare alle
masse».
Non si scaglia contro Vladimir Putin e l’ex direttore
dell’Fbi, James Comey, ma ha una convinzione: «Il responsabile della
presidenza Trump è una donna dello spettacolo, Gwen Stefani».
Spiega:
«Quando Trump ha capito che Stefani, in tv, riscuoteva più successo di
lui come coach a The Voice, ha addobbato la Trump Tower di manifesti col
suo programma, The Apprentice, convincendo gli americani della sua
popolarità su NBC, rete di The Voice e Apprentice. Ecco da dove arrivano
i voti». E conclude: «Trump dice di voler correre per la Casa Bianca
dagli anni Ottanta.
Non ci ha mai creduto veramente.
La Casa
Bianca non ha mica l’attico dorato. E Washington è piena di neri. Sono
stati gli spettatori da casa col telecomando, e i social media, a
convincerlo che ce l’avrebbe fatta.
Di una cosa ora son certo: per Trump è l’inizio della fine. Con il mio film, vi mostro la via d’uscita».