La Stampa 8.9.18
Il populismo va all’assalto dei giudici
di Mattia Feltri
La
profezia di Nanni Moretti non s’è avverata: nel finale del Caimano
(2006), Silvio Berlusconi lascia il palazzo di giustizia in cui è appena
stato condannato e infiamma il Paese: «La casta dei magistrati vuole il
potere di decidere al posto degli elettori». È ora di fermarli, dice, e
gli uomini liberi hanno il diritto di reagire in ogni modo. Quando
escono dal tribunale, i giudici vengono ricacciati indietro dalla folla
con pietre e barricate di fuoco. Non è successo niente di tutto questo:
Berlusconi se n’è andato dal governo con passo istituzionale nel 2011,
per sentenza dei mercati, e quando la sentenza è stata emessa dalla
magistratura, con successiva decadenza dal Senato, la vivacità delle
proteste sue e dei suoi non è mai evoluta nell’insurrezione, nemmeno
lessicale. Ma quel finale non è detto che vada perduto. Alla notizia che
il tribunale del riesame ha accolto il ricorso della procura di Genova,
concedendole di recuperare i 49 milioni che la Lega è accusata di aver
fatto sparire, e dell’avviso di garanzia per sequestro di persona nella
gestione della Diciotti, Matteo Salvini non s’è nemmeno tanto scomposto,
non s’è fatto prendere dal fermento berlusconiano. S’è abbandonato a
toni mistici («temete l’ira dei giusti») ed è ripartito da Nanni
Moretti. Vogliono metterci il bastone fra le ruote, ha detto.
E
poi: qualcuno non si rassegna al fatto che Salvini sia al governo (mai
un bel segno quando uno parla di sé in terza persona), questo è un
processo politico, come in Turchia, sono tranquillo, gli italiani sono
con me, qualcuno si oppone alla voglia di cambiamento del popolo. E poi
il piccolo capolavoro retorico: voi siete miei complici, perché la
differenza fra me e loro (i magistrati) è che io sono stato eletto da
voi, loro non sono stati eletti da nessuno e non rispondono a nessuno.
La
sostanza della sfida è che lui, Salvini, ha sottratto a Casaleggio la
teoria parafilosofica della democrazia diretta e ne ha fatto una
pratica, aprendo le notifiche giudiziarie in video su Facebook, con
centinaia di migliaia di tifosi a intonare cori da tastiera. È che lui
ha con sé la forza popolare, e la forza popolare è più forte delle
regole dello Stato liberale di diritto, sesquipedale sciocchezza
spiegata nei manuali di educazione civica per le medie (una volta, ora
educazione civica non si studia più). Così Salvini si gioca la
suggestione sediziosa, e con un vantaggio: Berlusconi ha avuto contro
una magistratura forte, idolatrata, che si portava appresso la fama da
Zorro degli anni di Mani pulite, quando erano i pm a legittimarsi con la
ola da curva. «Il grande processo pubblico è già avvenuto, è già lì, è
in gran parte già fatto», diceva venticinque anni fa il capo della
procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli. Eccolo il sentimento
della piazza, trascinato di qui e di là, molto sopra le regole. Ecco la
nemesi. Adesso però quella piazza esultante per la promessa di salvezza
della magistratura sembra esultare per la promessa di salvezza del sire
nazionalista. Il vento ha cambiato direzione. E non è una buona notizia,
nemmeno per chi in questi decenni s’è ribellato al feticcio catartico
degli avvisi di garanzia. In un Paese in cui il potere legislativo
(Parlamento) è evaporato, non fa più le leggi, nemmeno discute e
modifica quelle del governo, persino scomparso dal dibattito politico,
ecco, un Paese così può permettersi anche un potere giudiziario che
rischia di finire all’angolo, e non per le sue molte manchevolezze, ma
perché così ha deciso il popolo nella palpitazione del giorno? Possiamo
permetterci un potere esecutivo che prova a salire allo strapotere?
Ps.
Giovedì il più importante leader dell’opposizione, Matteo Renzi, ha
proclamato: «E’ ufficiale: la Lega ladrona ha fatto sparire 49 milioni».
Lo ha detto a proposito di un sequestro preventivo (e si sottolinea
preventivo) in seguito a una sentenza di primo grado, quindi non
definitiva. Non c’è nulla di ufficiale, a parte che il Pd ha lasciato
Palazzo Chigi e ha anche lasciato il garantismo di una breve stagione.
Ed essere garantisti non significa essere radical chic, significa
seguire la Costituzione, cioè le regole, quelle che non interessano più a
nessuno.