Repubblica 7.9.18
Agnello Hornby "Che delusione il #MeToo La violenza non ha sesso"
La scrittrice porta in scena a Mantova uno spettacolo sugli abusi. Dove le vittime non sono soltanto le donne
Intervista di Raffaella De Santis
MANTOVA
Simonetta Agnello Hornby ha come dote la franchezza. Abituata da
avvocato ad essere pragmatica non si preoccupa se quello che dice può
apparire impopolare e deludere chi l’avrebbe voluta tra le scrittrici
#MeToo. Ieri mattina era a piazza Sordello, a Mantova, per organizzare
le prove di uno spettacolo, tra gli eventi principali del
Festivaletteratura di quest’anno. Una performance di parole e musica per
parlare della violenza sulle donne, realizzata insieme alla sua amica
Filomena Campus, vocalist e jazzista capace di usare la voce come il più
sofisticato degli strumenti. Così almeno si leggeva nelle poche righe
di presentazione del programma. Non è così. Credevo che, questo il
titolo, denuncia la violenza, punto e basta, senza frontiere di genere,
portando sulla scena i casi di signore carnefici e disabili senza
scrupoli. «Sono per la liberazione delle donne, ma non amo la logica del
gregge. Il #MeToo? Una delusione, anche se dirlo mi dispiace». È tardi,
la scrittrice dovrebbe iniziare le prove, ma si capisce che l’argomento
la prende. Si accalora, gesticola. Nonostante la sua eleganza e la
camicia turchese di seta indiana ogni tanto le scappa qualche parola
forte.
Eppure lei ha partecipato ai movimenti di liberazione degli anni Settanta.
«Cominciai
col femminismo in quel periodo, ma fin da allora non ne condividevo
alcuni atteggiamenti, tipo la mania di togliersi il reggiseno a tutti i
costi. Io allora allattavo e dissi: non posso, grazie. Venivo perfino
guardata male perché aspettavo un figlio. A chi mi criticava rispondevo:
dobbiamo pur riprodurci (ndr, ride)».
Trova invecchiata la parola femminismo?
«Femminismo
e maschilismo sono parole sbagliate perché esaltano un genere. Mi piace
di più parlare di movimento di liberazione della donna».
Non era necessaria quella lotta?
«Ma certo, la nostra situazione era brutta, dovevano farlo. Ma abbiamo esagerato, fino a darci la zappa sui piedi».
Non può essere solo la storia dei reggiseni ad averla allontanata…
«Un
altro episodio allora. Il mio studio legale era prevalentemente
femminile. È stato il primo studio in tutta l’Inghilterra ad avere un
dipartimento dedicato alla violenza domestica. Mettemmo un annuncio sul
giornale per trovare un bravo avvocato che gestisse questo dipartimento.
Il migliore era un maschio, lo abbiamo preso. Anche in quel caso ci
furono critiche. Ecco, non ho mai condiviso questo modo delle donne di
fare ghetto».
Cosa pensa del movimento #MeToo?
«Non mi sono
piaciute le accuse tardive. Non è giusto accusare una persona quando è
scattata la prescrizione e non può più difendersi. Il lungo silenzio di
Angelina Jolie mi ha molto delusa. Poteva accadere di rimanere zitta a
una persona ignorante e lo avrei capito, ma non a lei, ambasciatrice
Onu, donna impegnata».
Ma crede davvero che il silenzio, anche di una star, calcoli la prescrizione e non sia invece frutto di altre paure?
«Non lo so, ma non serve essere avvocati per sapere che dopo un po’ il reato cade in prescrizione.
Ho
la sensazione che il #MeToo sia diventato una moda, un modo per dire
"ci sono anch’io" e fare gregge. Le racconto una storia…».
Lo sa che sta rischiando di attirarsi strali…
«Non
ho paura. Nessuna. Anche perché purtroppo il #MeToo sta crollando. Mi
rattrista, sarebbe stato importante avere un movimento serio ma è
diventato una farsa…».
Ha seguito la vicenda di Asia Argento,
prima tra le animatrici del #MeToo e ora in difficoltà dopo le accuse di
presunte molestie da parte di un giovane attore?
«Ne ho sentito parlare, ma non conosco bene il caso».
Ha consigli da dare alle nuove femministe per evitare eventuali trappole?
«Non
ho la soluzione, posso solo far vedere le incongruenze. Le racconto una
storia. Venticinque anni fa venne nel mio studio un bellissimo ragazzo
della City.
Sbottò dicendomi che la sua capa voleva fare sesso con
lui. Lo ricattava e gli diceva: se non lo fai, dico che mi hai
violentata.
Lui piangeva, aveva paura di perdere il lavoro. La donna al potere in questo caso si comportava come il maschio al potere».
Come ha iniziato a occuparsi di casi di violenza?
«Con
il caso di Mrs Gomez. Era una cinquantenne che si vestiva da ragazzina,
era sorda dalla nascita. Aveva un marito brasiliano molto più giovane
di lei che la menava. Arrivò da me dopo essere uscita dall’ospedale.
Ottenemmo subito l’allontanamento ma non volle perseguirlo penalmente. L’anno dopo lui l’ammazzò».
Lei però porta in scena anche donne carnefici.
«Sono
avvocato e ho fatto il giudice. Il mio Dio è la giustizia. La giustizia
in difesa di chiunque sia maltrattato. E in questo donne e uomini
possono fare del male e del bene allo stesso modo. Non è il sesso il
problema, ma il potere e chi lo esercita sui più deboli. Nello
spettacolo racconto il caso di una ragazza che picchiava e buttava acqua
bollente in faccia al suo fidanzato più giovane».
Crede davvero sia così diffusa la violenza al femminile?
«Lo
è, ma non è confessata, perché i maschi si vergognano e non la
denunciano. La considerano una forma di debolezza. È la quotidianità, ma
non esistono statistiche degli uomini ammazzati dalle donne».