Repubblica 7.9.18
La crescita della destra
La fragilità frlla destra è la nostra
di Nadia Urbinati
La
destra — che usa l’eufemismo di "sovranismo" come patente di
legittimità — cresce a macchia d’olio nei sondaggi del Nord del
continente, non meno che a Est e a Sud. Alle elezioni di domenica in
Svezia, le previsioni dicono che la nazionalista SverigeDemokraterna
(Sd) si potrebbe piazzare tra il terzo e il primo posto. Forse i
socialdemocratici vinceranno, ma la crescita delle destre potrebbe
mettere a dura prova il futuro governo. Come in Italia, anche nel Paese
scandivano le responsabilità della inquietante sterzata a destra vengono
addossate ai governi di centrosinistra — accusati di opacità nella
leadership e di impotenza nell’arginare l’immigrazione. A Stoccolma non è
la crisi economica, quanto la qualità della vita a mettere in
discussione la maggioranza uscente. Alcuni osservatori parlano di una
lotta sui «valori e l’identità svedese».
L’impennata immigratoria
del 2015 ha interessato la Svezia, che insieme alla Germania è tra i
Paesi con più alta percentuale di accoglienza. Le élite
socialdemocratiche hanno sottovalutato il problema "identità" e
"sicurezza", due argomenti che il partito nazionalista sfrutta
abilmente. Non è in questione il livello del welfare, generoso anche con
gli immigranti, ma la "cultura" e la "lingua", due "valori" che la
mescolanza di etnie mette in discussione. L’integrazione in Svezia non è
lasciata al caso ma governata scrupolosamente, proprio per proteggere i
"valori" nazionali e sociali. E per battere l’opposizione di destra, i
governi socialdemocratici si sono convertiti alle politiche delle
frontiere chiuse. La sinistra forse vincerà le elezioni, ma è sempre più
vicina alla destra.
La Svezia è di grande interesse, sia per
misurare il trend europeo in vista delle elezioni del 2019, sia per
leggere dentro la storia della democrazia europea. Una storia che non è
anti-nazionalista. La storia della socialdemocrazia scandinava è di
programmato benessere nazionale e nazionalista; non proprio un capitolo
dell’internazionalismo proletario.
L’emergere del Partito dei
lavoratori (Sap) negli anni ’30, mentre parte d’Europa era
nazionalsocialista e fascista, coincise con una coalizione
pro-socialista che univa lavoratori e contadini all’interno di un
progetto nazionalista. La creazione di un popolo di lavoratori e buoni
cittadini fu un programma di successo non privo di ombre inquietanti,
come la politica eugenetica finalizzata alla creazione di una
popolazione di sani e robusti lavoratori che aveva il compito di
scoraggiare l’immigrazione. La politica di sterilizzazione dal 1935
marciò con le politiche socialdemocratiche e fu rivelata con orrore e
abolita solo nel 1975. La politica del benessere sociale fu di successo,
ma con una connotazione nazionalista. La biopolitica doveva servire a
cambiare la società.
Vi è un aspetto che non viene messo in luce
quando si analizza l’attuale rinascita della destra xenofoba nel vecchio
continente, di cui la sinistra riformista in Svezia è un caso
esemplare: ovvero che la democrazia ha partecipato alla cultura
ideologica nazionalista. Se, come Yascha Mounk ha scritto su Repubblica,
i moderati non sanno far diga ai nazionalisti radicali perché cedono
alle loro sirene ideologiche, non è solo per insipienza tattica dei
partiti moderati.
L’ideologia che li innerva è della stessa pasta.
La fragilità della democrazia europea è in questo senso tutta interna
alla storia della democratizzazione dei Paesi del vecchio continente,
una storia che ha confini porosi con il nazionalismo e perfino la
xenofobia.