Corriere 7.9.18
L’estremista che spaventa la Svezia
La destra di Jimmie Akesson, web designer trentanovenne, punta a essere primo partito
Gli altri provano a fare muro
di Francesco Battistini
STOCCOLMA
«O faccio la Svezia, o non gioco». L’infanzia d’un Capo è negli
aneddoti e di Jimmie bambino ne raccontano quanti ne volete. Che detesta
gli immigrati perché un piccolo arabo una volta lo fece cadere dalla
bici, sputandogli addosso. Che non studiava granché, ma sapeva tutto dei
Vichinghi. Che già da ragazzino s’interrogava: possiamo aprire ai
rifugiati danesi se c’è una guerra in Danimarca, ma perché i somali? Che
se c’era da giocare a hockey su tavolo, una specie di subbuteo degli
scandinavi, lui ci stava solo se gli davano la squadra in maglia
gialloblù: «Questa è vera – s’è fatto una risata Jimmie Akesson, quando
gliel’hanno ricordato —. Fin da quando andavo a scuola, sono sempre
stato nazionalista. La Svezia agli svedesi».
Sweden First.
Domenica, gli svedese non votano solo per la Svezia. Scelgono se
rimanere campioni assoluti della socialdemocrazia e del modello che li
governa da cent’anni; oppure se far navigare il loro drakkar nel nuovo
mare dei movimenti antimigranti e antieuropei. Prolungando la linea
sovranista che parte da Stettino, passa per l’Ungheria e l’Austria,
arriva fino a Trieste e divide sempre più il Continente. «Questo è un
referendum», annuncia Akesson, favoritissimo leader destrorso di
Sverigedemokraterna (Sd), Svezia democratica, «fra chi vuole il solito
arcobaleno che ci ha riempito d’immigrati» e chi, invece, sogna il
gialloblù dominante promesso da lui: «O il nostro vero welfare che si
occupi degli svedesi, o la politica dell’asilo per tutti». La svolta è
nell’aria, anche perché da queste parti sono storicamente abituati a
novità più o meno scioccanti: fra i primi ad avere partiti femministi e
ambientalisti, a rifiutare l’euro quando tutti ci entravano, a fare i
conti con gli hacker che bombardavano le campagne elettorali, per non
parlare dei misteriosi assassinii di leader politici, da Olof Palme ad
Anna Lindh... Sulla piazza di Varnamo, Akesson si prende l’abbraccio
d’un sudanese in giubba bianca che lo voterà — «heja Jimmie!» — e il
messaggio beneaugurante dell’amico Matteo Salvini: «Caro Jimmie, dopo il
voto spero d’incontrarti in una nuova, prestigiosa veste
istituzionale».
A 39 anni e al quarto tentativo, in un Paese che
solo nel 2014-2015 ha aperto a 250mila migranti (su 10 milioni
d’abitanti) e toccato il record mondiale dell’accoglienza, il sovranista
supremo cavalca le paure delle gang magrebine di periferia, propaganda
il numero quintuplicato di stupri, ricorda sempre il Trump in campagna
elettorale che agli americani diceva «non vorremo diventare come la
Svezia?», promette vagamente una sua Swexit dall’Ue e alla fine ha
ottime probabilità: i sondaggi lo fanno balzare dall’attuale 13% al
massimo storico del 18-20, «ma possiamo diventare il primo partito»,
mentre i socialdemocratici precipitano dal 40 al 25, pronti al peggior
crollo di sempre.
I comunisti in Volvo, come li chiamava un po’
sprezzante il Financial Times, non è detto che perdano la guida. A
Stoccolma si governa in coalizione e contro la Sd, nata sulle ceneri di
vecchie formazioni neonaziste, è già pronto un fronte comune di
centrosinistra e centrodestra. #tuttomanonsd è l’appello online di 250
intellettuali. A questa vittoria temuta da moltissimi, Jimmie s’è
preparato con cura. Ha cacciato dal partito i razzisti impresentabili,
compresa la suocera che s’era abbandonata a dichiarazioni antisemitiche,
e poi ha cambiato il simbolo da una torcia fiammante in un tenero
fiorellino gialloblù, aperto alle famiglie gay, messo un po’ da parte
gli attacchi alla legge sull’aborto.
Figlio d’un manager e di
un’assistente sociale, studi universitari mai finiti, professione web
designer, una compagna e un figliolo, una villa con piscina alle porte
di Stoccolma, un debole per il videopoker, una depressione grave che lo
colpì anni fa, nell’ascesa di Akesson restano le ombre del suo presunto
passato neofascista. La quantità d’iscritti ancora legati all’estrema
destra, che postano gli sfottò ad Anna Frank e frasi tipo «ci sono più
parassiti in un afghano che in un cane svedese». Ai suoi elettori, sono
cose che importano poco. Sulla piazza di Varnamo l’accolgono già da
leader. Jimmie Be Good. Lui alza un braccio: «Portiamo la nave sulla
rotta giusta».