La Stampa 7.9.18
In Turchia è il governo di Erdogan il primo nemico delle donne
di Mirella Serri
In
Europa erano le prime e oggi sono le ultime: negli Anni Trenta le donne
turche erano all’avanguardia del mondo occidentale nel far valere i
propri diritti (il traguardo del voto arrivò per loro prima che in
Italia, Francia, Grecia). Oggi sono sempre più il fanalino di coda:
nell’ultimo decennio l’universo femminile turco ha proceduto con un
accelerato passo del gambero. Questo il Leitmotiv di Antabus,
romanzo-denuncia (in uscita in questi giorni da Neri Pozza, pp. 142, €
16) di Seray Sahiner, nata a Bursa e vissuta a Istanbul, che ha messo in
agitazione la pubblica opinione del suo Paese.
Scrittrice,
femminista, attivista per i diritti civili tra le più note e combattive,
Seray è stata anche condannata per le posizioni durissime contro il
presidente Erdogan e suo figlio Bilal. In Antabus - il titolo rimanda
alla medicina contro l’alcolismo - la vicenda della dolce e remissiva
Leyla, unica figlia femmina in un ambiente molto povero e retrogrado, è
paradigmatica del rapporto tra i sessi nella nazione in cui gli stupri
sono aumentati negli ultimi anni del 400 per cento e in cui 5 donne ogni
ora e 115 ogni giorno si trovano di fronte a una minaccia di omicidio
da parte di mariti, padri o fratelli.
Giovane, di maniere eleganti
e garbate, Leyla è infatuata del bellissimo Ömer, il capo reparto della
ditta in cui lavora. Ma una sera, mentre si attarda alla sua macchina
per cucire, viene stesa a terra e violentata da Hayri Abi, proprietario
dell’azienda tessile e amico di famiglia. Suo padre e suo zio, subdoli e
pronti all’esercizio del potere e al tradimento, accettano di mettere
tutto a tacere per un pugno di lire turche. Suo fratello, l’unico che in
famiglia non ha mai alzato le mani su di lei, la riporta dai parenti
dopo un tentativo di fuga facendola cadere in un tranello. Quando Leyla
gli confida l’offesa subita dal suo datore di lavoro, Ömer non si lascia
scappare l’occasione di un coito.
Persa dunque la verginità, la
famiglia, sempre per quattrini, la cede in sposa a un vecchio ubriacone
paranoico che per anni la percuote ogni giorno davanti alla loro
bambina. Le tribolazioni di Leyla vengono ignorate da amici, parenti e
vicini di casa: questi ultimi la redarguiscono anche se è sanguinante e
piena di lividi: «Stai calma. Sono cose che succedono tra moglie e
marito». Oppure: «Pensa a tua figlia». La polizia la dissuade dalla
denuncia.
Questo il calvario di Leyla: le difficili situazioni che
affronta rappresentano altrettanti segmenti della vita quotidiana delle
donne turche. I dati sono sconcertanti: la violenza domestica è in
crescita e colpisce il 48 per cento del gentil sesso. Le politiche
governative propongono un modello femminile legato alla tradizione, il
presidente ripete regolarmente che uomini e donne non sono uguali e che
il destino di queste ultime è la maternità. È necessario mettere al
mondo almeno tre figli, è l’esortazione ufficiale, e, ironia della
sorte, proprio come avveniva per la campagna demografica condotta dal
fascismo, quanto più si rafforza la propaganda tanto più diminuiscono le
nascite.
Il tasso di occupazione femminile è del 26 per cento e
fioccano i consigli dei politici che invitano signore e signorine a non
sorridere in pubblico o ad abbigliarsi in maniera adeguata.
L’analfabetismo domina nelle zone rurali. Ma soprattutto sono in grande
aumento i femminicidi. Le ragioni? La scrittrice le chiarisce nel suo
racconto. Sono sempre più numerose, nonostante le difficoltà, le mogli e
le figlie che alzano la testa. Se non vogliono entrare nel novero delle
vittime, devono ricorrere all’eliminazione fisica del marito. Questa è
la soluzione romanzesca. Ma, oltre la fiction, la Sahiner non si
arrende, continua la sua militanza e la campagna per sensibilizzare il
mondo femminile sul fatto che il primo ostacolo all’affermazione delle
sue libertà è il governo in carica.