Repubblica 7.9.18
La via stretta della sinistra e del cavaliere
di Stefano Folli
Colpisce
la virulenza delle reazioni via web all’intervista di Massimo Cacciari
all’Espresso, quando invece si tratta del contributo forse più
significativo alla discussione sul futuro del centrosinistra. Non del
Pd, le cui sorti ormai sembrano più che compromesse, ma di quell’area
che comunque dovrà esistere se si vuole evitare che l’opposizione si
estingua per un numero imprecisato di anni. È evidente, infatti, che sul
versante del centrodestra non c’è da attendersi alcuna novità in
termini di idee e di proposte. Oggi a Berlusconi resta solo una strada:
negoziare con Salvini i termini di un armistizio e poi sancire un patto
con garanzie. Queste ultime riguarderanno, come è intuitivo, le aziende
del fondatore di Forza Italia. E il patto potrà prendere forma in due
modi.
O una fusione negoziata con la Lega (ma è dubbio che Salvini
abbia interesse a un simile progetto, visto che sta già assorbendo gli
elettori berlusconiani).
Ovvero un’alleanza tra il Carroccio e una
sigla moderata centrista di ridotto peso elettorale, ma in grado di
raccogliere consenso nel mondo produttivo e delle professioni. Quello
che non è proponibile — ormai è chiaro — è un’intesa fra gli sconfitti,
Forza Italia e Pd ex renziano.
Offrirebbe un ulteriore e decisivo vantaggio al fronte giallo-verde e ai due partiti distinti ma convergenti che lo compongono.
Quindi
il futuro dell’opposizione, almeno nel medio periodo, si gioca nel
campo del centrosinistra. Dove i piani per la ricostruzione sono finora
poco consistenti. Il dibattito interno al Pd non va oltre il tentativo
di riassetto di un ceto politico in cerca di sopravvivenza. Anche gli
interventi migliori, a cominciare dalle interviste di Zingaretti e
Franceschini a Repubblica, non sfuggono a questa impressione. La stessa
ipotesi di cambio del nome, se non si accompagna a un "nuovo inizio",
rischia di ridursi a una operazione cosmetica di scarsa utilità.
Quanto
all’idea di creare una sezione italiana del partito di Macron, essa
aveva un senso fino a qualche tempo fa, sull’onda dell’entusiasmo per
l’avvento del dinamico presidente francese innamorato dell’Europa. Oggi
ha perso parecchio smalto. A Parigi l’europeismo ha presto lasciato il
posto al nazionalismo e alla difesa prioritaria degli interessi
francesi. Di conseguenza in Libia, e prima ancora a Ventimiglia, sono
affondate molte illusioni. La crisi degli establishment europei, in
parte sotto la pressione di Trump, ha fatto il resto.
Qui si
inserisce Cacciari con la suggestione di Nuova Europa. Che contiene in
sé un approccio abbastanza originale: il centrosinistra rifondato dovrà
essere in qualche misura «transnazionale», ossia dovrà calibrare la sua
iniziativa politica su un orizzonte largo. Dovrà riuscire a trovare, in
altre parole, una credibilità inedita misurandosi sulla scala europea
dei problemi. È uno sforzo di rispondere alla sfida dei cosiddetti
sovranisti, ma senza appiattirsi nella difesa di un’Europa che negli
ultimi 25 anni ha commesso troppi errori e alla fine è quasi fallita.
Anche se non lo ammette. Nuova Europa, sembra di capire, lega il futuro
del centrosinistra alla capacità di individuare un diverso modello di
Unione, immaginando un ruolo per l’Italia. Forse è utopia, ma varrebbe
la pena che nel Pd se ne discutesse. Soprattutto perché la linea attuale
non sembra avere respiro. Infatti si limita a dividere l’Europa in
maniera manichea: da una parte Salvini, Orbán, le destre sparse;
dall’altra i Macron, le Merkel, i Sánchez eccetera. Ma nel manicheismo i
nazionalisti vincono perché gli altri propongono solo lo status quo.