mercoledì 5 settembre 2018

Repubblica 5.9.18
Il falso mito dei 10mila passi (che però male non fanno)
Gli esperti: "Quel numero non ha basi scientifiche" Fu un’azienda giapponese a creare negli anni 60 il primo contapassi: era il "manpo- kei", che vuol dire 10mila passi
di Cristina Nadotti


ROMA Un po’ come il limite del 3 per cento nel deficit pubblico o, per restare in ambito medico, il valore del colesterolo che non deve superare 200. Un altro numero totem perde il suo valore: i 10mila passi quotidiani, panacea per malattie varie, àncora cui assicurare il proprio benessere, sono stati stabiliti da un esperto di marketing e non da un conoscitore dell’attività fisica o della prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Il quotidiano inglese Guardian ieri non usava mezzi termini: «L’obiettivo dei 10mila passi giornalieri è basato su presupposti scientifici inesatti» e specificava perché. Negli anni Sessanta, dopo il grande successo dei Giochi olimpici di Tokyo, un’azienda giapponese decise di sfruttare l’onda lunga dell’entusiasmo per lo sport. La Yamasa inventò il primo contapassi portatile che chiamò manpo- kei, cioè 10mila passi.
Da quel momento la ricerca scientifica si ingegnò per verificare se quel numero potesse stabilire uno stile di vita attivo.
Dell’intento pubblicitario celato nei 10mila passi sono stati in seguito ignari sostenitori, oppure oculati sfruttatori, gli esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità, che lanciarono qualche anno fa una campagna omonima. Gli sono andate dietro varie associazioni mediche e, naturalmente, altre aziende. Il giro d’affari dei congegni elettronici per misurare l’attività fisica giornaliera era nel 2015 di circa 40 milioni di esemplari venduti nel mondo, ma da allora è diventato più complicato tracciare le vendite dei semplici contapassi, inseriti nella tecnologia da indossare, negli smartwatch e, soprattutto, sostituiti dalle app scaricabili sul telefono. Di sicuro al contapassi sono legati i tentativi di tenersi in forma e in salute di molti. «Che male c’è? — osserva Carlo Tranquilli, medico dello sport dell’Università San Raffaele di Roma ed ex medico della nazionale di calcio under 21 — molti dei sistemi per migliorare l’attività fisica hanno sempre un’origine commerciale. I medici da sempre danno indicazioni sui benefici che vengono dal movimento, ma è soltanto quando questi consigli rappresentano un beneficio economico per qualcuno che il messaggio viene rinforzato».
La riprova dell’osservazione di Tranquili sta nei dati diffusi dal ministero della Salute: sebbene il numero dei sedentari in Italia sia ancora alto, con 4 persone su dieci inattive, negli ultimi anni chi si è convinto che muoversi sia una medicina è aumentato in modo considerevole. «E come per una medicina — precisa Tranquilli — il dosaggio e l’intensità vanno calibrati a seconda dell’individuo, per cui il limite dei 10mila passi può essere non allenante per alcuni o troppo faticoso per altri. In ogni caso iniziare a camminare e a muoversi fa sempre bene, a ogni età. L’importante è farlo consultando prima un medico».
Non un contapassi, dunque.