Repubblica 5.9.18
La mostra a Londra
Se l’arte si obbliga alla parità dei sessi
La parità è arte
di Melania Mazzucco
La
Royal Academy of Arts di Londra, per la mostra Renaissance Nude che
aprirà nel marzo del 2019, ha introdotto la "parità di genere" (o gender
equality): esporrà tanti nudi femminili quanti nudi maschili. La scelta
di Tim Marlow può prestarsi a polemiche e facili derisioni. Si può
discutere sull’opportunità dell’inserimento del criterio quantitativo
nella valutazione della rappresentatività di un’opera d’arte, e del
rischio del naufragio nella deriva della correttezza. O chiedersi se si
possono applicare le quote a opere dipinte in epoche in cui la pittura
era praticata da uomini e a uomini per lo più destinata, e rarissime
erano le committenti che potessero imporre un soggetto a loro gradito
(Cristina di Svezia si accaparrò un nudo maschile per suo diletto, ma le
altre, regine davvero, mogli e madri, non avrebbero potuto farlo).
Una
mostra, però, non è solo una mostra, e dice del proprio tempo molto più
di quanto dica del tempo in cui i quadri che esibisce furono creati. E
l’insolita applicazione delle quote alle immagini dipinte rivela
l’attenzione religiosa e quasi isterica al rispetto della differenza che
impregna oggi il clima culturale dei Paesi anglofoni. In Italia ne
facciamo spensieratamente e spudoratamente a meno, e le campagne di
sensibilizzazione sul tema sono accolte con lazzi e sghignazzi, se non
con tombale indifferenza.
In realtà, come ha ammesso il direttore
Marlow, selezionare le opere badando a rispettare la parità è stato «un
esercizio molto interessante». E potrebbe avere un esito sorprendente.
L’elenco delle opere non è ancora stato diffuso e chissà se si vedranno
il nudo maschile più eretico del Cinquecento ( La derisione di Noè di
Giovanni Bellini), e la maliziosa Venere dormiente di Giorgione… Ma
forse proprio questa provocatoria equazione visiva permetterà ai
visitatori di riflettere sul modo in cui il nudo è stato trattato dagli
artisti del Rinascimento. Di chiedersi se il nudo di Venere o di Eva e
quello di Adamo miravano allo stesso scopo — forse no, se i primi spesso
erano dipinti per scomparire nelle camere da letto dei committenti, a
volte pudicamente celati da drappi e panneggi, e gli altri servivano a
glorificare la creazione e la somiglianza dell’uomo col Dio che lo ha
formato; perché lo studio dell’anatomia non si applica al corpo della
donna, o perché a questo si addica il naturalismo e l’idealizzazione
eroicizzante a quello maschile… Ma in realtà la notizia più clamorosa
dell’annuncio della Royal Academy è un’altra, e non deve passare
inosservata. Nella mostra la parità di genere non sarà riservata alle
immagini, ma si estende agli studiosi. Dunque a coloro che la mostra
concepiscono, allestiscono, comunicano e tramandano. Non solo di corpo
stiamo parlando, infatti, ma di intelletto. Un’immagine veicola un
pensiero e una visione del mondo: ma anche l’atto stesso di selezionare
le immagini, decifrarle e commentarle non è neutrale e genera messaggio,
tradizione e cultura. E se Guerrilla Girls e altre attiviste di
resistenza femminista hanno censito, oltre che la presenza femminile nei
nudi delle collezioni, la presenza delle artiste nei musei (peraltro
tuttora grama, nonostante più di trent’anni di battaglie), non so se sia
stato fatto altrettanto per le curatrici delle mostre, le autrici dei
saggi e dei contributi dei cataloghi, le conferenziere degli eventi che
fioriscono attorno alle mostre, e via dicendo. La loro assenza, o
invisibilità, o comparsa ancillare, suscita poco stupore e nessuno
scandalo. Ecco, questa parità meno chiassosa, rivoluzionaria e ancora
lontanissima dal nostro orizzonte, sarebbe l’esempio virtuoso da
imitare.