il manifesto 5.9.18
«El Pepe», una vita di militanza continua
Venezia
75. L’ex presidente dell'Uruguay raccontato nel documentario di Emir
Kusturica «El Pepe, una vida suprema» (fuori concorso) e nel film di
Alvaro Brechner «La noche de 12 años» (Orizzonti)
Josè «Pepe» Mujica in «El Pepe, una vida suprema» di Emir Kusturica
di Silvana Silvestri
VENEZIA
«Non sapevo nulla dell’Uruguay – dice Kusturica, qualcuno mi ha detto
c’è il presidente che sta guidando il trattore. Mi sono detto: devo
conoscerlo». La presenza di Pepe Mujica sul Lido è stato uno degli
eventi più emozionanti della manifestazione: due sono stati i film in
programma accolti dal pubblico con grande commozione, che raccontano il
suo presente e il suo tragico passato di detenuto politico e delineano
la sua imponente figura di politico coerente nelle parole e nello stile
di vita. Emir Kusturica firma il documentario El Pepe, una vida suprema
(fuori concorso), dove ha potuto cogliere precisamente il giorno in cui
Mujica il 1 marzo del 2015 ha rimesso il mandato di presidente
dell’Uruguay che aveva ricoperto dal 2010, dopo aver ridotto la soglia
di povertà del paese dal 25% al 9%, una vittoria che si deve anche alle
sue iniziative personali, dedicando il 70% del suo stipendio ai poveri.
Una
gigantesca folla lo attende in strada in un abbraccio collettivo, 150
mila persone che applaudono e piangono. «No me voy – risponde lui, stoy
llegando»: non vado via, sto arrivando, a significare che la militanza
continua. Una militanza che non è mai stata persa, tutto sta a
dimostrarlo. Kusturica ascolta in silenzio il racconto di Pepe, nella
campagna che circonda la sua casa e che lui cura personalmente alla
guida del vecchio trattore, spostandosi anche con la Wolkswagen
celestina dell’87, accanto alla moglie, una militante di lunga data
anche lei, la senatrice Lucia Topolansky conosciuta alla fine degli anni
Sessanta.
Kusturica il rude regista esperto in sarabande
zingaresche fuma il sigaro in silenzio, assaggia l’amarezza del «mate» e
lo ascolta raccontare in pochi cenni l’estrema solitudine di quei 13
anni vissuti in isolamento in tutte le carceri del paese insieme ai suoi
compagni: senza quell’esperienza, dice, sarei stato più frivolo, più
ambizioso, più vanesio, ebbro di successo. Invece ha scelto la povertà
(«non sono povero, semplicemente il denaro non mi serve, posso fare a
meno di tante cose inutili»). Accompagna il regista in un grande
magazzino, il mall Punta Carretas: proprio nel corridoio centrale dove
ora si affacciano i negozi gli dice, c’era il corridoio centrale del
carcere.
La gente gli si fa intorno in un grande abbraccio.
Insieme agli altri capi della guerriglia urbana che compiva gli espropri
proletari (il sistema bancario, dice, «è il grado più alto di
delinquenza umana che fa lavorare il denaro degli altri senza lavorare»)
dal carcere di Punta Carretas evase clamorosamente una prima volta con
altri 106 compagni, ma nel ’72 fu tenuto come ostaggio per più di un
decennio. Impossibile resistere alla forza della sua oratoria sincera,
ne furono conquistati i delegati dell’Onu e perfino Obama.
Una scena da «La noche de 12 años» di Alvaro Brechner
Tra
le sequenze di Stato d’assedio di Costa Gavras, per non dimenticare che
le dittature in latinoamerica furono originate dal Plan Condor pilotato
dagli Usa, racconta e accompagna Kusturica a visitare le piante che
coltiva. Con lui ci sono i vecchi compagni di lotta del Movimiento de
liberacion Nacional, i Tupamaros Neto (Eleuterio Huidobro) diventato
ministro della difesa e Ruso, il poeta e scrittore Mauricio Rosencrof .
Pepe, Neto e Ruso sono i tre protagonisti di La noche de 12 años di
Alvaro Brechner (Orizzonti) tutte le caratteristiche del genere
carcerario sviluppato in un crescendo di grande umanità lungo anni di
isolamento, scene riempite con grande abilità, dove l’insegnamento
principale è la necessità della resistenza a tutti i costi: sentire
parlare i reali protagonisti della vicenda (Huidobro è scomparso da
poco) nel doc di Kusturica, rende l’opera ancora più emozionante.
È
un film nato da anni di investigazioni e testimonianze, un lavoro sulla
memoria che denuncia la detenzione in violazione di ogni diritto umano,
di un fatto molto poco conosciuto in un paese dove ancora non si sono
fatti i conti con il passato. Pepe Mujica non parla dell’epoca della
detenzione, pensa che siano ferite profonde da rispettare, ma non si
tira indietro quando deve commentare situazioni politiche come chi gli
chiede una soluzione per il Venezuela: «Non so proprio cosa si possa
fare, dice, ma ho fiducia nei popoli. A volte i popoli hanno bisogno di
aiuto, ma ci sono aiuti che è meglio non avere, il Venezuela saprà
uscirne da solo. Noi in America Latina non abbiamo bisogno di sostegno,
altri paesi nel mondo ne hanno bisogno. I ricchi del mondo devono capire
che esiste il concetto di responsabilità e che i poveri non sono
dell’Africa ma dell’umanità».