Repubblica 4.9.18
Il mondo? Lo salveranno ancora i ragazzini
Oggi i piccoli sentono e patiscono il pessimismo che li circonda
Ma è un’ottica solo europea
di Benedetta Tobagi
Incontro
con il maestro Franco Lorenzoni, che porta avanti in Umbria il suo
centro di formazione, punto di riferimento per docenti e bambini Perché
la scuola è il luogo dove fondare la società aperta di domani
La situazione presente è grave. Mi piaceva tanto lo slogan di Radio Alice nel ’77, "Notizie false che producono eventi veri".
A
ripensarci oggi, al tempo delle fake news, fa rabbrividire » , dice
Franco Lorenzoni, maestro, educatore, formatore, noto al grande pubblico
per il bellissimo memoir pedagogico I bambini pensano grande.
Cronaca
di un’avventura pedagogica. Si arrovella, Franco, sulla " crisi di
umanità" che stiamo vivendo, insieme agli altri membri del Movimento di
cooperazione educativa ( Mce), fondato nel dopoguerra da figure
leggendarie come Mario Lodi, ispirandosi alla pedagogia di Freinet, per
una scuola capace di educare alla libertà e alla democrazia. Per questo
l’ho raggiunto tra i boschi dell’Umbria alla casa- laboratorio di Cenci,
centro di formazione accreditato e punto di riferimento per molti
insegnanti di tutta Italia, che ha fondato nel 1980 e coordina con la
compagna Roberta Passoni, pure maestra, e altri colleghi.
Porto un bagaglio di domande assillanti: cosa può fare la scuola contro il razzismo, la rabbia, l’indifferenza ai dati di fatto?
Come svelenire il clima e gettare le basi per un futuro diverso? In una parola: quale educazione per i tempi bui?
La
prima suggestione arriva dai " cantieri" educativi annuali del Mce
svoltisi in luglio a Foligno, tema: le metamorfosi. Oltre l’ottimismo
retorico del binomio crisi- opportunità, partendo dai racconti
inquietanti della mitologia greca si è riflettuto su quanto il
cambiamento faccia paura e non sia facile da gestire.
Il cammino
continua a casa Cenci, dove arrivo nel mezzo del " villaggio educativo"
estivo per bambini e ragazzi, tutti insieme, dalle primarie
all’università.
« La mescolanza – di età, condizioni sociali,
provenienze, linguaggi – è la cosa più interessante. Apre la testa » ,
mi spiega Franco Lorenzoni. Penso al saggio di Gardner, teorico delle
intelligenze multiple, Aprire le menti. Ma come si fa?
« Un
grimaldello sono i racconti » , Lorenzoni parla veloce, con passione,
per comunicarmi la sua visione: « moltiplicare le storie, contro la
fissità dei pensieri, che uccide » .
L’ispirazione viene da Le
mille e una notte: Sheherazade si salva dalla furia omicida del califfo
con una narrazione che lo avvince a tal punto da distoglierlo dai suoi
propositi.
Attenzione però: il destinatario delle storie era la
sorella, « il califfo origlia » , precisa Franco: « il potere delle
storie opera spesso in modo indiretto, per raggiungere chi, imprigionato
nella sua ossessione, non ascolterebbe » . Prendere nota, contro le
frustrazioni del dibattito sui social.
« Ogni storia contiene
altre storie » , continua, « ha diverse letture » . « Se ci fanno
ascoltare sempre la stessa storia ci irrigidiamo. Se ne ascoltiamo
tante, possiamo cambiare » , aggiunge Roberta. La vedo all’opera con
bimbi e ragazzi che sono invitati a spiegare quale, tra le molte storie
ascoltate, li abbia " mossi" di più, quali possano generare
trasformazioni. Tre bambini scelgono un racconto dalle Metamorfosi di
Ovidio, la ninfa Callisto mutata in orsa da Giunone dopo la violenza di
Giove: « uno arrabbiato vuole sfogarsi, anche contro un innocente » ,
dice la prima; « la ninfa tace perché si sente in colpa, anche se non lo
è » , aggiunge un’altra, « non bisogna aver paura di denunciare i
soprusi » , « devo conoscere bene una situazione per sapere a chi dare
la colpa » , conclude un terzo. Affascinante.
Torno al tema
cruciale della dilagante indifferenza verso la verità. Come
contrastarla? « È cruciale pensare alla scuola come un posto dove si
crea cultura » , esordisce Franco.
« Non ci sono risposte pronte.
Bisogna
cercarle, imparare a osservare, a formulare domande » . Roberta
racconta che con la sua classe sono entrati in corrispondenza con uno
scienziato « e questo sviluppa competenze, capacità di elaborazione » . «
Intorno alla domanda " Perché le persone migrano?" abbiamo ricercato
per un anno – riprende Franco – partendo dalla matematica, perché una
bambina ha detto una cosa importante: " per risolvere un problema ci
vogliono di dati!" e non è banale per niente. Ormai, chi lo fa?
Abbiamo
costruito una mostra piena di dati. Poi le interpretazioni possono
essere tante. Ma la scuola deve fare questo, arricchire il discorso,
ingaggiare un corpo a corpo vitale con gli oggetti di conoscenza,
coltivare una tensione verso la verità. È essenziale imparare a sostare a
lungo, insieme, al bordo di una domanda, nell’incertezza » .
Senza
paura. Insegnare, insomma, a convivere con l’incubo del nostro tempo,
ossessionato dal controllo, dalla fame di risposte facili e stampelle
identitarie fasulle.
« Accettiamo di non sapere cosa accadrà al
mondo e ci prepariamo. Oggi i bambini sono al centro dell’ansia, non
dell’ascolto. Sentono, e patiscono, il pessimismo che li circonda. Ma è
un’ottica solo europea » , Franco si accalora, « gli indicatori dicono
che nel mondo si sta meglio di 30 anni fa. La scuola dev’essere il luogo
dello spostamento, da dove nasci al mondo » . Roberta – contrappeso
concreto ai " voli" del compagno – ricorda che la scuola deve saper
ascoltare tutti, accogliendo anche le paure: « ho avuto in classe dei
bambini con gravi difficoltà, abbiamo ascoltato i genitori dei compagni,
spaventati, spiegando come gestivamo la situazione. Non devi mai dire
in astratto " si fa così, bisogna accogliere tutti", ignorando dubbi e
timori » . Penso che molti sindaci dovrebbero ispirarsi a
quest’approccio per gestire la paura degli immigrati.
La scuola
può, e deve, avere un ruolo politico, « non in modo ideologico, che
irrigidisce tutti, ma utilizzando al meglio i propri strumenti: ricerca,
conoscenza degli oggetti culturali, tanta storia e dati concreti, per
contribuire a formare una coscienza, un’etica » , concludono. Per
questo, l’Mce sta lanciando una serie di iniziative a partire dai 70
anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, perché sia
studiata in tutte le scuole « non come progetto extra, ma innervando la
didattica di quei principi, per leggere il presente con occhi diversi » .
È difficile, ma non bisogna farsi travolgere dall’esterno. « La scuola è
diacronica. Deve indagare il passato e immaginare il futuro, libera dal
proprio tempo » , conclude Franco, « ci andiamo proprio per non restare
incastrati nel presente! » .
Quando riparto sento più aria nei
polmoni, non solo per effetto dei boschi. L’impegno educativo è
disseminazione, non semplice testimonianza. C’è speranza se questo
accade al Vho, il paesino dove insegnava, scrisse Mario Lodi. « Chi
educa non può non avere speranza. E c’è molto lavoro da fare »