Repubblica 28.9.18
Le idee
"Bentornato socialismo americano"
Parla Stephanie Kelton, consigliera economica di Bernie Sanders
Le
lezioni tradite delle crisi finanziarie. Il populismo antiglobal di
Trump. Lo strapotere delle banche. Le soluzioni innovative tra ambiente e
welfare. di di Intervista di Federico Rampini
Abbiamo
imparato qualcosa dalla grande crisi ("lo schianto", per usare
l’immagine efficace di Adam Tooze) del 2008-2009? Una parte
dell’umanità, da quella vicenda non è veramente uscita tuttora: l’Europa
del Sud, tanti giovani, i ceti medio-bassi, hanno visto decurtati
brutalmente i redditi e le aspettative; per molti di loro quella attuale
è una ripresina irrilevante, che non sana ferite profonde. E c’è il
rischio che dagli eventi di Lehman e dintorni si siano estratte le
lezioni sbagliate, a giudicare dal ritorno in America di una politica
economica ritagliata sugli interessi delle grandi imprese. Non
bisognerebbe mai "sprecare una crisi", e forse lo abbiamo fatto. Ne
parlo con una economista tra le più interessanti e innovative, Stephanie
Kelton. Verrà in Italia nell’ambito della Stagione Capitale inaugurata
dalla Fondazione Feltrinelli a Milano. La Kelton insegna alla Stony
Brooks University ed è una nota esponente della Teoria Monetaria
Moderna. È stata consigliera di Bernie Sanders nella campagna per la
nomination presidenziale democratica e del Senato degli Stati Uniti.
Abbiamo appreso le lezioni giuste, da quel che accadde dieci anni fa?
«Nell’immediato,
parve di sì. Ci fu una diffusa presa di coscienza che avevamo lasciato
crescere in modo abnorme il sistema finanziario, fino a diventare troppo
complesso, fino ad assomigliare a quell’economia del casinò deprecata
da John Maynard Keynes a proposito dell’altra grande crisi (1929). Tutto
a scapito dell’economia reale.
Tant’è che la finanza rischiò di
far crollare l’intera economia reale di molti paesi. Dunque subito dopo
la crisi ci furono diversi tentativi per porre dei limiti alla
speculazione finanziaria. Ma non si fece abbastanza. Il risultato è che
oggi le mega-banche sono ancora più grosse di dieci anni fa, e quindi
più pericolose. Le dieci maggiori banche americane hanno cumulato 171
miliardi di dollari di profitti l’anno scorso. Se avremo una nuova crisi
saremo ancor meno capaci di fare quello che avremmo dovuto fare nel
2008: cioè smembrare i colossi bancari e licenziare il loro top
management».
Nel decennale di quegli eventi si sta affermando una
nuova narrazione che lega direttamente il crac Lehman a Donald Trump: il
populismo come contraccolpo politico (a scoppio ritardato) dei
salvataggi bancari.
«Non c’è un nesso diretto, però è vero che
molti cittadini furono esasperati dallo spettacolo di allora: quando
videro il governo federale salvare i banchieri mentre milioni di
americani perdevano il lavoro e la casa. In questo senso i democratici
furono puniti per i loro errori, che risalivano a molto tempo prima:
dalle liberalizzazioni del commercio internazionale alle politiche
fiscali. Hillary arrivò nel 2016 con un messaggio troppo ottimista:
continuerò sulla scia dei successi di Obama. Molti americani ebbero la
sensazione che lei non capisse la loro sofferenza. E in tre Stati
chiave, votarono per uno che sembrava in sintonia con la loro
frustrazione e gli prometteva di rifare l’America grande come una
volta».
Lo stesso Trump ha "rubato" alla sinistra la critica alla globalizzazione.
«È
vero, non è il tradizionale repubblicano liberista, il suo attacco al
Wto riecheggia certi slogan dei giovani contestatori scesi in piazza
durante i summit. Poi lui fa di ogni erba un fascio, nei suoi attacchi
non distingue tra la Cina, il Messico, il Canada».
Per le elezioni
legislative del 6 novembre, sono apparsi candidati che si definiscono
"socialisti democratici". È un effetto della campagna di Bernie Sanders,
a cui lei partecipò?
«Sanders ha rimesso all’ordine del giorno
delle grandi idee politiche che sembravano tramontate. Ha rilanciato una
visione molto ambiziosa del ruolo dello Stato. Ha proclamato
l’importanza dell’istruzione come bene pubblico, che non può essere così
costoso da gravare di debiti gli studenti. Ha denunciato lo scandalo
per cui gli Stati Uniti sono l’unica nazione industrializzata dove la
salute dei cittadini è affidata a un sistema privato, molto più costoso e
meno efficiente di quelli pubblici. Insomma, Sanders ha cambiato il
dibattito politico. Ci sono oggi più candidati che si ispirano alle sue
idee e osano definirsi socialisti, una cosa che non ricordo da quando
sono nata. Per ora, va precisato, restano minoritari».
La Teoria
Monetaria Moderna (Tmm), di cui lei è un’esponente di punta, ha qualcosa
in comune con quell’esperimento monetario che ha contribuito all’uscita
dalla crisi, e che fu chiamato il "quantitative easing"? Ben Bernanke
lo lanciò nel 2009 e da quel momento inondò il mondo con almeno 4.500
miliardi di liquidità monetaria, una terapia che molti considerano
decisiva per interrompere la recessione americana.
«No, non c’è
nulla in comune con la Teoria Moderna Moderna, se si eccettua la
creazione di liquidità. Quel che fece la Federal Reserve, poi seguita
dalla Bce e da altre banche centrali, fu di usare il proprio potere per
acquistare titoli finanziari pubblici e privati, pagandoli in moneta.
Fu sostanzialmente uno scambio di attività finanziarie.
La
Tmm più che alle banche centrali guarda al ruolo degli Stati, alle
politiche fiscali e di bilancio. Siamo a favore di massicci tagli delle
imposte, per aumentare il reddito e quindi la domanda. Siamo per
massicci programmi di spesa pubblica, in particolare mirati verso un
Green New Deal, un vasto insieme di investimenti ambientalisti, sullo
sviluppo sostenibile e le energie rinnovabili. Il nome della Tmm non
inganni, per noi quello che conta non è la liquidità, ma la spesa
pubblica e la riduzione delle tasse».
Il "quantitative easing" nel
frattempo è cessato, i tassi d’interesse americani tornano a salire, e
chi si è indebitato in dollari è nei guai. A cominciare da paesi
emergenti come Argentina, Turchia. Da dove verrà la prossima crisi?
«Non sono in grado di dirle chi è più vulnerabile, ma il rialzo dei tassi crea dei rischi sostanziali».