Repubblica 27.9.18
L’Austria e i media critici
Il bavaglio ai giornali Vienna si pente
di Tonia Mastrobuoni
L’Austria
è governata da una coalizione di conservatori e destra xenofoba e da un
cancelliere, Sebastian Kurz, che guarda con simpatia all’Ungheria di
Orbán e all’Italia di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. E aspira a formare
con il nostro Paese e i quattro di Visegrad un’internazionale
sovranista che ridimensioni la Ue e usi il pugno duro contro i migranti.
Una premessa indispensabile per capire a fondo lo scandalo che ha
coinvolto il ministro dell’Interno, Herbert Kickl, considerato una delle
figure più influenti della destra, accusato in passato di
frequentazioni estremiste.
Nei giorni scorsi è emerso che dal suo
ministero sarebbe partita una mail diretta ai capi della polizia di
tutta l’Austria, in cui si consigliava di «limitare al massimo» il
contatto con tre media citati esplicitamente: il quotidiano progressista
Standard, il settimanale d’inchiesta Falter
e il tabloid Kurier.
Rei di essere "critici o parziali nei confronti del ministero e della
polizia". Inoltre l’emissario di Kickl consigliava vivamente alle
questure, dettaglio altrettanto inquietante, di citare esplicitamente
nei loro resoconti la nazionalità di chi commette crimini.
Tanto per rendere il clima più piacevole attorno a profughi e migranti.
Quando
la mail è stata rivelata da alcuni media, Kickl è stato investito da
una bufera. Il presidente della Repubblica, Alexander Van der Bellen, ha
definito «inaccettabile» il tentativo di mettere il bavaglio alla
stampa. E il cancelliere Kurz non soltanto gli ha fatto eco, ma ha
dichiarato che «la limitazione o il boicottaggio di determinati media
non può esistere, in Austria. Ciò vale per gli uffici stampa di tutti i
ministeri e di tutte le istituzioni pubbliche». Infine, l’opposizione ha
presentato una mozione di sfiducia contro Kickl che ha tenuto il
Parlamento occupato per l’intera giornata di ieri.
Dinanzi alla
levata di scudi delle massime autorità dello Stato e della rivolta
dell’opposizione e dell’Associazione dei giornalisti austriaci, Kickl è
dovuto precipitosamente correre ai ripari smentendo di saperne nulla. In
un primo momento, i suoi avevano tentato di minimizzare, ma l’ondata di
indignazione che ha travolto il ministero lo ha costretto a una rapida
marcia indietro.
Kickl ha fatto sapere di aver parlato con il
firmatario della mail e ha dovuto diffondere una dichiarazione che suona
così: «La libertà di stampa è intoccabile» e «le formulazioni (della
mail, ndr) su come interagire con "media critici" non hanno il mio
consenso».
Ipocrisie, si dirà. Come molti altri colleghi, Kickl
applica già, probabilmente, una censura preventiva verso determinati
media senza scriverlo in una scottante mail. Esattamente come accade in
altri paesi. In Italia, ad esempio, succede da anni. Chiunque faccia il
nostro mestiere sa che la discriminazione dei giornali e dei giornalisti
scomodi è una realtà da tempo. E ha raggiunto con il governo
giallo-verde vette impensabili, con tanto di liste di proscrizione
periodicamente aggiornate, pubbliche reprimende, minacce di purghe e
leggi ricattatorie sventolate a ogni piè sospinto. La differenza tra noi
e l’Austria, additata così spesso come Paese in preda alle destre più
retrive, è che lì è scattato un riflesso condizionato di salvaguardia
della libertà di stampa, un cordone sanitario che ha coinvolto tutti,
maggioranza e opposizione e, in primis, il capo del governo. E l’affaire
Kickl ci ha ricordato così che esistono ancora Paesi dove c’è un certo
pudore a mettere apertamente in discussione la libertà di stampa. Un
pudore che in Italia sembra svanito da tempo.