Repubblica 26.9.18
"Nelle grotte cerco il segreto della vita"
Jennifer Macalady racconta i suoi studi nelle viscere della terra, dalle Bahamas a Frasassi
di Rosita Rijtano
Nelle
viscere della Terra, dove non arriva luce né ossigeno, arriva lei. Ha
tempra e aspetto di una roccia Jennifer Macalady, microbiologa della
Pennsylvania State University che da vent’anni percorre il mondo di
sotto, in largo e in lungo. Fino a centinaia di metri di profondità,
dalle Bahamas all’Italia, in provincia di Ancona. È nelle grotte di
Frasassi che preleva i campioni da studiare per afferrare il mistero in
cui è avvolta l’origine della vita. Quaggiù come lassù, su Marte. Una
signora delle grotte, "curiosa e coraggiosa". Anche se paura ne ha avuta
tanta, come all’inizio: « A volte sono stanca e infreddolita — racconta
— ma alla fine prevale sempre l’adrenalina: in ogni discesa so che
imparerò qualcosa di nuovo, mi sento fortunata».
Una storia
risalita in superficie grazie a The most unknown, documentario in onda
su Netflix che coinvolge nove scienziati per rispondere a grandi quesiti
universali irrisolti: esiste davvero la materia oscura? Come si forma
la coscienza? In che modo nasce la vita? Macalady ha scelto di scoprire
come si sono formati i primi organismi facendo luce sugli anfratti più
bui. Immagina le grotte come macchine del tempo in cui si possono
trovare condizioni ambientali simili a quelle che hanno caratterizzato
la Terra miliardi di anni fa. « Studiarle ci fa capire l’evoluzione dei
microrganismi e l’esistenza di trilioni di specie di microbi, di cui
conosciamo solo l’1%».
Un amore particolare la lega a Frasassi,
dove torna dal 2002. Scende in un silenzioso mondo sulfureo popolato da
organismi che sfruttano acido solfidrico come fonte d’energia. Qui ha
speso anni in pazienti analisi e qualche sorprendente scoperta. Come
quella pubblicata su Astrobiology lo scorso aprile, quando Macalady e
colleghi hanno individuato tracce di vita a 400 metri di profondità.
«Nella composizione del gesso c’erano alcuni isotopi di atomi
compatibili con la presenza e l’azione di microrganismi. Una firma
biologica che nelle missioni spaziali potrebbe essere usata per sapere
se c’è stata o c’è vita su Marte», spiega la scienziata.
Un grande
punto di domanda è come i microrganismi riescano a sopravvivere anche
nelle falde acquifere più profonde, dove l’energia chimica è talmente
bassa da rendere in teoria impossibile l’esistenza. Non in pratica. Una
resilienza che Macalady ha fatto propria. «Avere pazienza e lavorare
sodo», sono le due lezioni che le hanno insegnato le scarse risorse
finanziarie e i tempi della natura. «Adesso studieremo la vita che si
forma molto al di sotto della superficie dell’acqua, quindi quasi senza
ossigeno. Credevo che la morfologia delle grotte ce l’avrebbe impedito,
invece ci stiamo riuscendo. L’ecosistema analizzato finora è
paragonabile a ciò che c’era sulla Terra tra i 2,5 e i 0,5 miliardi di
anni fa, mentre così potremo risalire a epoche ancora più antiche » . Un
ulteriore balzo indietro che ci avvicina alla comprensione dell’origine
della vita. Ci riusciremo mai? «Sì, abbiamo già tecnologie e conoscenze
necessarie».