martedì 25 settembre 2018

Repubblica 25.9.18
La denuncia di Amnesty
Quei processi di massa "parodia di giustizia" nell’Egitto delle vendette
Per i Fratelli Musulmani 75 pene capitali " Ma per la strage di Rabaa nessuno paga"
di Francesca Mannocchi


Lo scorso 9 settembre, un tribunale egiziano ha condannato a morte 75 tra membri e affiliati dei Fratelli Musulmani, come parte di un processo di massa che coinvolgeva 739 persone accusate di reati che vanno dall’omicidio, all’incitamento alla violenza, all’appartenenza a un gruppo bandito dalla legge al raduno illegale. Il processo è stato definito da Amnesty International una "grottesca parodia della giustizia".
I 739 imputati furono arrestati e processati per aver partecipato a un sit-in andato avanti per settimane nella piazza Rabaa al-Adawiya al Cairo, sit-in organizzato in segno di protesta contro la rimozione del presidente democraticamente eletto Mohamed Morsi, esponente della Fratellanza Musulmana.
La protesta è culminata in violenze di massa: il 14 agosto del 2013 le forze di sicurezza egiziane, sotto il comando dell’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi hanno disperso i manifestanti con armi automatiche, mezzi corazzati e bulldozer.
Una strage costata la vita a 817 persone, una strage che per Human Right Watch rappresenta un crimine contro l’umanità.
Il verdetto, del giudice Hassan Farid el-Shami, è stato annunciato nel tribunale carcerario di Tora, ampiamente fortificato.
Tra i condannati a morte alla Corte penale del Cairo c’erano eminenti membri della Fratellanza Musulmana: Essam El-Erian, Mohamed Beltagy, Abdel-Rahman al-Bar e Osama Yassin.
La corte ha anche condannato il leader supremo dei Fratelli Musulmani, Mohammed Badie, oltre ad altri 56, all’ergastolo.
Mohamed Morsi, il primo presidente eletto democraticamente del paese dopo la caduta di Hosni Mubarak, rimane in prigione in attesa di un nuovo processo.
Osama, suo figlio, è stato condannato a 10 anni di carcere.
Per molti il verdetto è stata un’ulteriore conferma che il sogno di libertà che ha animato l’Egitto nel 2011 sia svanito. Dopo il colpo di Stato del 2013 Al Sisi ha etichettato la Fratellanza Musulmana come gruppo terrorista, i suoi membri sono stati arrestati, spinti alla clandestinità o costretti all’esilio.
Amr Darrag è un ingegnere e politico egiziano, esponente di spicco dei Fratelli Musulmani, ed è stato ministro della Cooperazione internazionale del governo Morsi, come molti ritiene che la strage di Rabaa non fosse soltanto un’espressione di violenza ma un messaggio politico di al-Sisi a chi si opponeva al colpo di stato «era il modo in cui al-Sisi stava dicendo al mondo e all’opposizione: guardate, così il mio regime reagirà alle proteste. Era un messaggio politico che spiegava agli oppositori che la parola chiave sarebbe stata paura: chi sarà contro di me non sarà arrestato, verrà ucciso».
Fuori dal tribunale, il giorno della sentenza, Khalid, il parente di una condannata a morte ha definito il processo «assurdo e ingiusto, i nostri figli e nipoti sono stati uccisi a Rabaa, quelli sopravvissuti, i fortunati scampati al massacro, anziché essere trattati come vittime vengono arrestati, processati e condannati a morte. Questi ragazzi sono le vittime del massacro e non coloro che l’hanno perpetrato».
Amg Darrag oggi è presidente dell’Eis, Egyptian Institute for Studies, e ricorda che questo è solo l’ultimo di una lunga serie di processi svoltisi negli ultimi cinque anni in Egitto senza che la corte ammettesse prove e testimoni da parte della difesa degli imputati: «Ci sono state già 33 esecuzioni, dozzine di altre sono in attesa. Dopo processi senza prove, come questo. E la cosa più paradossale e dolorosa è che nessuno dei servizi di sicurezza di Al Sisi è stato né sottoposto a indagini né condannato per la strage di Rabaa, strage condannata da tutte le organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani come un crimine contro l’umanità». L’11 settembre scorso, immediatamente dopo la sentenza, il comitato giudiziario egiziano ha ordinato il congelamento dei beni di oltre 1.100 organizzazioni benefiche che si dice siano affiliate ai Fratelli Musulmani. «Qualsiasi errore politico abbia commesso la Fratellanza — continua Darrag — non giustifica queste violazioni. Morsi, ricordiamolo, era il primo presidente democraticamente eletto dell’Egitto contemporaneo. Una delle ragioni per cui Al Sisi continua a fare impunemente quello non è il silenzio, ma il supporto piuttosto: il doppio standard della comunità internazionale, nessuno sta dando attenzione alla giustizia o alla condizione dell’opposizione, Al Sisi sta facendo quello che vuole, intanto i cittadini egiziani assistono impotenti e impauriti al dominio militare».
Dal 2013, Al Sisi ha rafforzato fortemente il suo potere. Oggi in Egitto ci sono almeno 60.000 prigionieri politici più di 10 volte di quanti ce ne fossero prima che Mubarak fosse costretto a lasciare il governo.
Amnesty International, nelle parole di Najia Bounaim, sostiene che le violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza avvengano «su una scala mai vista prima».
Nonostante questo, le relazioni economiche con l’Europa e gli Stati Uniti restano solide e apparentemente non minacciate dalle denunce delle organizzazioni per i diritti umani. A luglio l’amministrazione Trump ha destinato 195 milioni di dollari in aiuti militari all’Egitto, fondi precedentemente trattenuti proprio a causa delle preoccupazioni sullo stato dei diritti umani nel paese.