venerdì 21 settembre 2018

Repubblica 21.9.18
I bimbi di Rebibbia, discarica sociale e una riforma mai fatta per paura
di Roberto Saviano

Articolo 31, comma 2, della Costituzione italiana: «La Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo».
Articolo 3, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».
Articolo 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: «In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».
18 settembre 2018, carcere di Rebibbia. Una detenuta, nata in Germania ma con cittadinanza georgiana, getta dalle scale i suoi due figli. La bimba di 6 mesi muore subito, il bimbo, di poco più grande, morirà in ospedale. Questa è la premessa.
Esattamente un anno fa, il 18 settembre 2017, sull’Espresso scrissi del tragico caso della bambina di tre anni che aveva rischiato di morire nel carcere Gazzi di Messina per aver ingerito del veleno per topi. La domanda — per niente retorica — fu: perché è in galera se ha solo tre anni? Era con sua madre, una donna nigeriana in carcere per immigrazione clandestina. Per l’Italia, Paese che non concede visti agli Stati africani, l’unica via d’accesso è quella illegale e l’immigrazione clandestina è un reato punito con il carcere anche se hai figli piccoli che non hanno nessuno oltre te.
Ovviamente della notizia ci occupammo in pochi (diedi conto dell’interesse di Radio Radicale), anche perché uscivamo da un’estate tragica. La caccia all’immigrato si era ufficialmente aperta grazie alle politiche dell’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti. Devastanti per il Paese, per il Pd e per l’idea stessa di sinistra. Ogni giorno aumentava il senso di insicurezza e la percezione che fosse necessario autodifendersi ( Salvini non ha inventato nulla!), nonostante il Viminale, in palese controtendenza rispetto alle dichiarazioni dei suoi vertici, diffondesse cifre rassicuranti sul calo delle denunce. E se a un calo nelle denunce non corrisponde necessariamente la diminuzione dei reati, possiamo stare certi, con il clima che si respira, che agli stranieri non si fanno sconti. Inoltre fa più presa dire " abbi paura e armati" piuttosto che " i reati sono in diminuzione", perché il ragionamento perde terreno di fronte alla percezione di insicurezza che siamo indotti a provare per convenienza altrui.
Ma forse è proprio da qui che dovremmo partire, da una politica abituata a criminalizzare, a considerare il carcere la soluzione per tutto, una discarica sociale. Dovremmo partire da qui perché la detenuta che ha ucciso i suoi figli a Rebibbia stava per essere scarcerata ed evidentemente non era il carcere il luogo adatto alla sua detenzione. Era detenuta per concorso in detenzione di stupefacenti, un reato su cui, con un’altra politica, diversa da quella attuale ma anche da quella che l’ha preceduta, si aprirebbe una riflessione seria sulla necessità di legalizzare le droghe. Ma per le cose serie non c’è mai tempo: comunicare e non fare, cercare consenso e non lavorare seriamente per una società più sicura e più democratica.
La donna era in carcere con due bambini di sei e 18 mesi. Entrambi minori di tre, età minima che consente la detenzione con il genitore. Sotto i tre anni i bambini devono essere affidati ai servizi sociali. E invece erano in carcere con la madre e non dove sarebbe stato umano ospitare tutto il nucleo familiare, ovvero in una casa famiglia protetta. Ma qui si apre l’annoso capitolo delle misure alternative al carcere e dei mancati finanziamenti per queste strutture. "Ma siamo pazzi!", già sento i commenti, "investire soldi per i detenuti, per i delinquenti?". " Non ci sono soldi per le persone perbene, figuriamoci trovarne per loro". Ma " loro" sono bambini, non hanno commesso reati e, quando possibile, devono stare con i genitori in ambienti che siano di supporto al nucleo familiare.
Di fronte a questa tragedia immane non so davvero da dove iniziare per raccontare la strage di diritto, che è strage di vite umane, che si consuma ogni giorno nelle carceri italiane. Alfonso Bonafede sospende la direttrice della sezione femminile di Rebibbia, sospende anche la sua vice e la vicecomandante della polizia penitenziaria perché dice: «Deve essere chiaro, nel mondo della detenzione non si può sbagliare». Ma che ne sa Bonafede del mondo della detenzione, mi verrebbe da dire, se ha bloccato la riforma dell’ordinamento penitenziario uscita dalla scorsa legislatura?
E poi leggo la comunicazione che fa sui social l’ex ministro Andrea Orlando, ex Guardasigilli; è lui che ha lavorato per anni alla complessa e articolata riforma, che Bonafede ha liquidato appena arrivato negli uffici di via Arenula, ed è lui che purtroppo (ci avevo sperato) non ha difeso quel lavoro. È lui che avrebbe dovuto azzannare il Pd e dissociarsi dai fragili compagni di partito che hanno preferito temporeggiare per timore di perdere consenso sotto elezioni. Tanto che quelle misure sono state varate dal governo Gentiloni a tempo ormai scaduto, dopo il voto del 4 marzo.
"Un regalo ai delinquenti", "un decreto svuota carceri", chi ha rivolto queste accuse alla riforma dell’ordinamento penitenziario non ha interesse nella giustizia e nel rispetto dei diritti. Ma diciamoci la verità, non ha interesse nemmeno chi teme di riceverle queste accuse e archivia una riforma necessaria, vitale, che si aspettava da anni. Inutile che Andrea Orlando chieda a questo governo ciò che non ha preteso da quello di cui era parte. Inutile cercare fuori dal Pd le cause della fine del Pd.
E il Pd accetti un consiglio non richiesto: non pensi a congressi o a cambiare nome, quello che deve augurarsi, piuttosto, è di essere al più presto dimenticato. Perché un partito riformista — o che si crede tale — che non mette in discussione i frutti avvelenati del berlusconismo, come le leggi Bossi- Fini e Fini-Giovanardi in materia di immigrazione e stupefacenti, merita per il bene del Paese solo una cosa: di essere al più presto dimenticato.
I figli della detenuta di Rebibbia sono morti. Del più grande i medici hanno appena decretato la morte cerebrale. È banale dire che con quei due bambini il Pd è definitivamente scomparso. È banale perché la fine era arrivata molto prima, il colpo di grazia sono stati la dottrina Minniti e la codardia nel non sostenere a pieni polmoni la riforma dell’ordinamento penitenziario.
Ciò che davvero resta di un percorso politico si misura nella quantità di diritti che è in grado di difendere. La via della sinistra non è altro che questo: avere il diritto di non uccidere (non solo il dovere), il diritto di non spacciare ( non solo il dovere), il diritto a non impantanarsi nell’ignoranza ( non solo il merito della conoscenza). Tutto il resto è amministrazione, ordine, meccanismo di gestione.
Non ci si senta orfani di un soggetto politico che non merita rimpianti, viviamoci questa stagione " nera" provando a fare argine con le armi che abbiamo, che sono e resteranno lo studio, l’approfondimento, i dati, l’ascolto, l’empatia, il racconto. E speriamo che si riesca a ricostruire qualcosa non partendo, come molti ancora auspicano, da un figura carismatica, da chi ha più ambizione personale che coraggio, ma da quello che oggi in politica tragicamente manca: le idee. Magari liberando il campo definitivamente da leaderini che al governo sembrano conservatori di destra e all’opposizione rivoluzionari.
La riforma delle carceri si è arenata per paura di perdere consenso, sulle politiche migratorie ci si è alleati con la Libia finanziando trafficanti di esseri umani e torturatori per rincorrere chi parlava di invasione. E quel che è peggio è non aver mai rinnegato tutto questo.
I bambini nelle carceri non ci devono stare e questa, per esempio, è un’idea, un’idea da difendere. Nella riforma dell’ordinamento penitenziario cestinata da Bonafede e orfana di Orlando c’era anche questo: sessantadue bambini di cui nessuno si è voluto occupare.