Repubblica 19.8.18
Le armi facili
L’uomo con un arsenale in casa in cura psichiatrica da anni
Sparava contro il soffitto. La polizia scopre che ha problemi di mente
Ma nessuno gli aveva revocato la licenza
di Marco Mensurati e Fabio Tonacci
ROMA
La storia minima di Carlo che all’improvviso, una notte, si è messo a
sparare ai muri di casa sua racconta di una macroscopica falla nella
normativa sul porto d’armi. Una lacuna che continua a generare mostri e
che non è stata colmata neanche col recente decreto legislativo di
recepimento della direttiva europea sulla detenzione di pistole e
fucili. Cosa succede quando i possessori della licenza sviluppano
malattie mentali o cadono in depressioni molto forti? C’è qualcuno che
può togliere l’arma a chi impazzisce?
Andiamo con ordine. Carlo
(nome di fantasia) ha 41 anni, vive da solo in un appartamento lungo il
trafficato Viale Don Minzoni, poco fuori dal centro storico di Firenze.
Sabato
scorso, alle 4.30 del mattino, prende dal suo arsenale privato
legalmente detenuto un fucile e comincia a sparare senza motivo contro
le pareti e il soffitto. I vicini si spaventano e chiamano la polizia.
Gli agenti trovano Mario in stato di confusione, balbetta
giustificazioni senza senso.
Soprattutto, si accorgono che in un
armadio ha otto tra fucili e carabine, più altre tre pistole e diverse
armi da taglio. Lo portano all’ospedale di Santa Maria Nuova, dove viene
subito ricoverato nel reparto di psichiatria e sottoposto a un Tso
d’urgenza. Non ci sta con la testa, ha dei disturbi gravi.
Il
punto, però, è che Carlo ha un porto d’armi per uso venatorio. È un
cacciatore. Gliel’ha rilasciato la questura di Firenze nel settembre
2012 e, ancora per qualche giorno, sarà valido. Vuol dire che prima di
quel settembre di sei anni fa il suo medico di base aveva firmato il
certificato anamnestico che ne attestava l’assenza di specifici motivi
sanitari che potevano impedirne l’idoneità. Carlo aveva poi superato la
seconda visita medica presso una struttura pubblica accreditata e aveva
avuto l’attestato di idoneità psico-fisica. Aveva infine partecipato,
con successo, al corso per il maneggio delle armi: una mezza giornata al
poligono per dimostrare che con un fucile in mano non si sarebbe
sparato sui piedi. Sono i tre requisiti base richiesti dalla legge: 1)
certificato anamnestico; 2) visita medica; 3) mini corso al poligono. Ai
funzionari della questura non rimaneva che controllare l’assenza di
precedenti penali: non li aveva, quindi "nulla ostava" il rilascio del
porto d’armi.
È l’iter previsto dall’attuale normativa, secondo
molti esperti in materia una delle meno permissive in Europa. Eppure ha
un buco a cui nessuno, inspiegabilmente, ha mai pensato di mettere una
toppa. E la storia di Carlo ne è l’esempio perfetto.
Perché il
41enne fiorentino, tre anni fa, è entrato in cura da uno psichiatra per
un disturbo mentale. Lo ha spiegato sua madre, costernata, agli
investigatori. La Questura, che se l’avesse saputo avrebbe potuto
revocargli la licenza, non è stata avvertita né dal medico di base, né
dallo psichiatra.
Per fortuna Carlo, sabato notte, era solo in
casa e nessuno si è fatto male. Ora è ricoverato e indagato dalla
procura di Firenze per "accensioni ed esplosioni pericolose", articolo
703 del codice penale. Un trafiletto nelle cronache locali. La Squadra
mobile sentirà presto i suoi medici curanti, per capire se, date le
condizioni psichiatriche di Carlo, non avrebbero potuto segnalare il
problema alle autorità.
La legge non prevede l’obbligo di comunicazione di "intervenute malattie mentali" da parte di medici di base e specialisti.
L’unico
momento di "revisione" dell’idoneità psico-fisica di chi ha il porto
d’armi è quando ne viene chiesto il rinnovo. Fino al recepimento della
nuova direttiva europea (14 settembre), il termine era di sei anni per
le licenze per uso sportivo e venatorio, di un anno per quelle per
difesa personale. Ora, per le prime due categorie, è stato abbassato a
cinque anni. E però non è stato previsto niente sul tema dei controlli
durante il periodo di validità della licenza.
È successo anche con
Luca Traini, il fascista del raid di Macerata del 3 febbraio scorso
finito con sette migranti feriti: ottenne il porto d’armi nel 2015 e da
allora non è stato più controllato. E quello di Macerata è stato solo
l’ultimo di una lunga serie di episodi: nel 2003 in via Carcano, a
Milano, il 31enne Andrea Calderini uccise moglie e vicina con la sua
pistola Kimber calibro 45, che non avrebbe mai potuto avere senza medici
compiacenti che ne hanno coperto lo squilibrio mentale. E, più di
recente, a Viareggio nel 2010 Luca Ceragioli e Ian Hillerm vennero
uccisi a colpi di pistola da Paolo Iacconi, loro dipendente, mentalmente
disturbato eppure legale detentore di armi.
«Tutte stragi
evitabili con un semplice accorgimento», dice la moglie di Ceragioli,
Gabriella Neri, fondatrice dell’associazione "Ogni Volta". Da anni
chiede di collegare il database del sistema sanitario nazionale a quello
del Dipartimento di pubblica sicurezza. Il governo — che pure nel
recepire la direttiva europea 853 ha istituito un nuovo sistema
informatico per il tracciamento delle armi e delle munizioni — non ha
colto l’occasione.