Il Fatto 19.9.18
Tedesca 33enne in carcere getta i figli giù dalle scale
Al
nido - È accaduto a Rebibbia. La donna era in cella per droga: morto un
neonato di 7 mesi, ferito gravemente il fratello di 2 anni
di Andrea Managò
Ha
atteso che tutte le altre detenute sfilassero per le scale vicino ai
locali della mensa, poi ha lanciato giù i suoi due figli, la più piccola
di appena 6 mesi e il primogenito di 2 anni. Sono schegge di una
violenza inaudita quelle che emergono dalle prime ricostruzioni della
tragedia avvenuta ieri mattina nella sezione femminile del carcere
romano di Rebibbia, dove una detenuta tedesca di 33 anni ha ucciso la
figlia e ferito gravemente il figlio.
Quando le altre recluse, per
la maggior parte rom, si sono accorte dell’accaduto, sono corse a fare
da scudo con i loro corpi ai bambini, mentre le agenti della polizia
penitenziaria bloccavano la donna. Per la bimba però non c’è stato
scampo: è deceduta sul colpo. Il maschietto è ricoverato in codice rosso
all’ospedale Bambino Gesù. La loro mamma ne avrebbe sbattuto
ripetutamente i corpi in terra.
Che si sia trattato di un raptus
di follia o di un gesto premeditato, quanto si è consumato ieri tra le
mura della casa circondariale di Rebibbia, nella zona nord-est della
Capitale, riapre la discussione sulla presenza dei bambini negli
istituti di pena. Mai era accaduto in Italia che una detenuta uccidesse
suo figlio dietro le sbarre.
In un sistema carcerario che vive
quotidianamente i problemi legati al sovraffollamento (circa 8.500 mila
detenuti più della capienza di 50.600 posti) e alle strutture spesso
vecchie o fatiscenti, la normativa – datata 2011 – prevede possano
entrare in carcere assieme ai figli le detenute con bambini di età tra 0
e 6 anni. Poi ci sono gli Icam, ovvero gli Istituti a Custodia
Attenuata, ma si contano sulle dita di una mano, attualmente sono solo
cinque: Milano San Vittore, Venezia Giudecca, Torino Lorusso e Cutugno,
Avellino Lauro e Cagliari. Quindi, salvo esigenze cautelari specifiche,
legate a reati particolarmente gravi come terrorismo e mafia, per le
madri con bambini fino a 10 anni è prevista la possibilità di scontare
la pena in una casa famiglia sorvegliata. Al momento sono 62 i bambini
che vivono in cella assieme alle madri, 16 solo a Rebibbia, una delle
poche strutture in Italia dotate di un nido e di assistenza pediatrica
continua.
La detenuta che ha ucciso sua figlia era stata estradata
dalla Germania lo scorso 27 agosto, con l’accusa di traffico
internazionale di stupefacenti, ipotesi di reato per cui è in attesa di
giudizio. All’arrivo a Rebibbia, la donna era stata sottoposta ai
controlli medici di routine e alla visita psicologica, dalla quale però
sembra non fossero emerse criticità. Ora la donna si trova
nell’infermeria del carcere, tenuta sotto stretta sorveglianza.
A
Roma, dopo anni di attesa per problemi burocratici, dal luglio 2017 è
attiva la Casa di Leda, una villetta confiscata alla banda della
Magliana e riconvertita in casa famiglia dove da un anno vengono
ospitate sei madri detenute con bambini. Ma l’estradizione non consente
la collocazione in una struttura alternativa al carcere.
Sgomento
il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che nel pomeriggio si è
recato nel penitenziario e poi in visita al bambino ferito. “È una
tragedia, la magistratura sta già facendo i suoi accertamenti, il
ministero ha aperto una inchiesta interna per verificare le
responsabilità”, ha detto il ministro appena uscito da Rebibbia. Mentre
il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma, ha
commentato: “È stata una situazione imprevedibile, non c’erano elementi
relativi a questa persona che lasciassero supporre un comportamento del
genere”. Poi ha aggiunto: “Forse ci sono situazioni in cui il riesame
del singolo caso andrebbe fatto in breve. Sicuramente servono più Icam,
basti pensare che oggi la metà dei bambini figli di madri detenute
vivono in strutture di questo tipo, un quarto è Roma, mentre il resto
sono frammentati sul territorio nazionale”.