il manifesto 19.9.18
Rebibbia, tragedia al nido. Detenuta uccide la figlia
Una
donna tedesca butta giù dalle scale i suoi due figli. La piccola muore,
l’altro è gravissimo. Il Garante Mauro Palma: «Prima della punizione
viene il diritto dei bimbi di vivere con le madri fuori dal carcere»
di Eleonora Martini
Stavolta
è successo in carcere. Una donna tedesca di 33 anni, detenuta
all’interno del “nido” della sezione femminile di Rebibbia, in preda ad
un raptus avrebbe gettato giù dalla rampa di scale i suoi due figli,
uccidendo sul colpo la bambina più piccola, di soli sei mesi, e ferendo
gravemente il bambino di circa due anni.
Era in carcere solo dal 2il manifesto 19.9.18
6
agosto scorso, A. S., nata in Germania ma di cittadinanza georgiana,
«arrestata in flagranza di reato per concorso in detenzione di
stupefacenti (articolo 73, ndr)», secondo quanto comunicato dal ministro
di Giustizia Alfonso Bonafede che ieri si è recato nel carcere romano e
poi in visita all’ospedale pediatrico Bambino Gesù dove è ricoverato in
condizioni gravissime il piccolo. Il Guardasigilli «ha subito avviato
un’inchiesta interna volta a ricostruire l’esatta dinamica dei fatti e
ad accertare eventuali profili di responsabilità».
«Intorno
all’ora di pranzo e nello spazio di pochi minuti – informa la nota
ministeriale – si consumava il tragico gesto» della donna che proprio
ieri mattina avrebbe dovuto avere un colloquio con i suoi parenti. Le
condizioni del bambino di due anni sono particolarmente critiche,
secondo il primo bollettino sanitario, «con danno cerebrale severo». «Il
bambino è in prognosi riservata ed è sottoposto attualmente a supporto
rianimatorio avanzato e in ventilazione meccanica. È in programma un
intervento neurochirurgico».
Anche il procuratore aggiunto Maria
Monteleone di Roma, coordinatrice del pool dei magistrati che si occupa
dei reati sui minori, ha aperto un’inchiesta. E dalle prime
indiscrezioni circolate, pare che la donna fosse stata già segnalata al
servizio psichiatrico durante la visita psicologica che si svolge di
routine all’ingresso in carcere, e avesse già manifestato alcuni disagi
psichici (associati probabilmente ad una tossicodipendenza). Fonti della
polizia penitenziaria fanno sapere alle agenzie di stampa che gli
stessi agenti avrebbero depositato relazioni scritte per segnalare la
donna all’area sanitaria.
In realtà, al Garante nazionale dei
diritti delle persone private di libertà, Mauro Palma, non risulta ci
sia mai stato nella posizione detentiva della donna alcun «evento
precedente», come si dice in gergo. Non sarebbero cioè mai stati
registrati, nella vita carceraria della 33enne georgiana, eventi di
rilevanza tale da lasciare presagire una tale tragedia. O almeno non
sarebbero mai stati trasmessi alle autorità preposte.
I dettagli
della terribile notizia sono ancora sconosciuti, eppure si è già
scatenata la speculazione politica di certi sindacati di polizia
penitenziaria e delle destre più giustizialiste che chiedono ora di
cambiare la legge. Non per decretare l’incompatibilità con la vita
carceraria delle donne con figli minori di tre anni, ma al contrario per
separare le detenute dai loro bambini.
Attualmente in tutta
Italia 62 bambini sono reclusi insieme alle loro madri (52 donne). Di
questi, la metà circa è ospitata negli Icam (Istituti a custodia
attenuata, creati con la legge 62/2011) insieme alle madri detenute, gli
altri in carcere. E di questi ultimi, la maggior parte si concentra
proprio a Rebibbia, dove al 31 agosto erano reclusi 16 bimbi con 13
madri.
Esistono anche le case protette, ma l’unica funzionante in
Italia è la «Casa di Leda» che attualmente ospita «solo 4 donne –
riferisce il responsabile, Lillo Di Mauro – quando avremmo potuto
ospitarne 6, mentre nel carcere c’è il sovraffollamento di mamme con
bambini. E questa è la contraddizione di una legge che non raggiunge gli
obiettivi per i quali è stata approvata».
«Nella parte della
riforma dell’ordinamento penitenziario che era stata quasi portata a
termine – ricorda Rita Bernardini, della presidenza del Partito Radicale
– e non è stata approvata né dal precedente né dall’attuale governo, si
cercava di superare questo problema della detenzione dei bambini. Ma
sono le leggi ad essere assassine».
In effetti, sia Di Mauro che
Palma riconoscono la grande professionalità e sensibilità della
direttrice di Rebibbia, Ida Del Grosso, degli agenti e degli operatori
del “nido”. «Dobbiamo partire dall’idea – sottolinea invece il Garante –
che il bisogno e il diritto di un bambino che deve evolvere e
sviluppare la sua vita deve essere prevalente anche alle nostre esigenze
di punizione rispetto al genitore. A partire da questo le
amministrazioni locali devono predisporre le strutture che garantendo la
sicurezza all’esterno offrano case famiglia protette e la possibilità
di vivere in un ambiente non detentivo».