Repubblica 19.9.18
In cella con i figli da venti giorni li lancia dalle scale, muore neonata
Roma, grave l’altro bimbo di due anni. Era rinchiusa in attesa di giudizio, aperte due inchieste
di Federica Angeli
Roma
Ha scaraventato da una rampa di scale i due figli, 7 mesi e 2 anni, nel
reparto nido del carcere di Rebibbia. La neonata, dopo un volo di tre
metri, è morto sul colpo, il primogenito lotta per sopravvivere
all’ospedale Bambino Gesù di Roma. La donna, una tedesca di 33 anni, che
avrebbe dovuto allattare la piccola e dare la pappa al " grande",
insieme alle altre dieci detenute che lì vivono con i loro 17 bimbi, è
rimasta impietrita dopo la follia. Neanche le grida — «Assassina,
assassina» — delle altre detenute che hanno assistito, alle 12 di ieri,
alla scena e si sono precipitate a raccogliere i corpicini insanguinati,
l’ha destata da quella calma apparente post omicidio.
Eppure
Alice Sebesta, in prigione dallo scorso 27 agosto dopo un arresto in
flagranza per spaccio internazionale di stupefacenti (lei e il compagno
nigeriano sono stati sorpresi con 15 chili di stupefacente) secondo la
Garante per i detenuti per Roma Capitale Gabriella Stramaccioni, non
aveva dato nei 20 giorni trascorsi a Rebibbia « alcun segno evidente di
squilibrio psichico». «Ho parlato con la direttrice, la vicedirettrice e
la psichiatra che la seguiva, come tutte le mamme detenute — ha
spiegato la Garante — e mi hanno assicurato che gli unici segni di
insofferenza mostrati erano quelli di convivere con detenute di etnia
rom».
Malgrado non fosse stata diagnosticata nessuna particolare
patologia psichica alla Sebesta, ieri mattina sulla scrivania della
direttrice di Rebibbia era arrivato un referto in cui risultava che la
figlia di 7 mesi della donna aveva sbattuto la testa in un angolo "
incidentalmente". L’ematoma, e dunque " l’incidente" era avvenuto due
giorni fa. Ora gli inquirenti, che hanno già aperto un fascicolo per
omicidio e tentato omicidio aggravato nei confronti di Alice Sebesta
valuteranno quell’ematoma alla luce di quanto avvenuto.
Ma il
paradosso di questa tragedia non annunciata — malgrado dalla polizia
penitenziaria fanno trapelare che Alice invece avesse manifestato
evidenti segni di squilibrio psichico — è che la donna non aveva ancora
una condanna definitiva ma era in attesa di processo. Il paradosso della
legge ( la 62 del 2011) è infatti che per donne condannate con figli
minori è possibile scontare la pena in strutture differenti dal carcere
insieme ai piccoli, chi invece attende una sentenza non ha questo
diritto. Una presunta innocente è dunque penalizzata rispetto a chi è
già stato giudicato. Ed è su questo che, ieri, subito dopo la tragedia,
ha ruotato un coro unanime sull’abolizione della permanenza di minorenni
in carcere assieme alle madri.
Lillo Di Mauro, responsabile della
Casa Di Leda, struttura romana che ospita appunta mamme detenute in
alternativa alla cella, sostiene a gran voce che «i bambini non devono
stare in carcere» ma in strutture alternative insieme alle madri. Davide
Bordoni (Fi) chiede invece far uscire i bambini dal carcere ma di
separarli dalle madri « che hanno problemi psichici e sono dentro per
droga».
Come ad ogni tragedia, del cancan di reazioni di destra e
sinistra, a fine giornata resta una donna tedesca di 33 anni in una
cella di isolamento che non ha versato una lacrima né detto una parola,
un bimbo morto e uno in fin di vita, un’inchiesta della procura e una
interna aperta dal ministro della Giustizia Bonafede.