Repubblica 16.9.18
I piani per la manovra
I giovani dimenticati
di Chiara Saraceno
Nella
spartizione del potere di spesa nella contrattazione sulla legge di
stabilità, i protagonisti del "governo del cambiamento" confermano la
tradizionale propensione per i trasferimenti monetari rispetto
all’investimento in servizi, che pure avrebbe effetti sulla domanda di
lavoro e, nel caso dei servizi educativi e di cura, favorirebbe la
conciliazione tra partecipazione al lavoro remunerato delle donne con
carichi famigliari.
Confermano anche il tradizionale
sbilanciamento a favore della popolazione anziana. Nell’impossibilità di
mantenere la promessa del reddito di cittadinanza, i pentastellati,
infatti, puntano sulla pensione di cittadinanza, di fatto un
innalzamento delle pensioni minime. Come se l’urgenza di offrire un
sostegno reddituale a chi si trova in povertà non riguardasse
principalmente adulti non anziani e minori. Poco meno della metà di chi
si trova in povertà assoluta è composta da minori e giovani fino ai 34
anni, mentre gli anziani ne costituiscono un ottavo. E a livello
famigliare la povertà assoluta è concentrata tra le famiglie con figli,
con persona di riferimento giovane o nelle età centrali, molto meno tra
quelle con persona di riferimento anziana.
Pur senza sottovalutare
la gravità dell’esperienza di povertà in età anziana, sarebbe più
sensato ed equo spendere i fondi a disposizione per allargare il Reddito
di inclusione in modo da coprire tutta la platea dei poveri assoluti
(con lo stanziamento attuale è coperto circa un terzo), aumentando anche
l’importo, per avvicinarlo a quello attualmente garantito ai pensionati
sociali. Se si persegue invece la strada di privilegiare chi ha una
pensione bassa, pur di non utilizzare uno strumento faticosamente messo a
punto dal governo precedente, si allargherà ulteriormente il divario
tra poveri e tra generazioni. Mentre si continua ad aspettare un
riordino dei trasferimenti alle famiglie con figli.
Anche la Lega,
per mostrare che realizza la promessa di smantellare la riforma
Fornero, punta a favorire i suoi elettori più anziani, i lavoratori
vicini alla pensione, giocando sull’incastro tra età e numero minimo di
anni contributivi per andare in pensione. Peccato che scaricherà un
enorme peso sulle generazioni più giovani, che dovranno finanziare per
anni le pensioni dei genitori, mentre loro stessi probabilmente non
riusciranno mai a raggiungere i requisiti. Rafforzerà anche le
disuguaglianze tra lavoratori, come succedeva con le pensioni di
anzianità. Solo chi avrà accumulato una buona ricchezza contributiva,
perché avrà avuto una carriera lavorativa regolare e con buoni compensi,
potrà permettersi di andare in pensione a quota 100. Si tratta di
maschi del Nord. Tutti gli altri — donne e lavoratori del Sud — non
potranno permettersi di farlo, a meno di avere anche altri redditi. C’è
pure il rischio che per finanziare questa contro- riforma venga tolta
l’Ape sociale, che riguarda proprio i lavoratori e le lavoratrici più
vulnerabili o con pesanti carichi di cura.
I 60 milioni di
italiani evocati da Salvini a ogni piè sospinto non sono tutti uguali,
nelle stesse condizioni. Le scelte che i due contraenti del governo
stanno per fare allargheranno le forti disuguaglianze già esistenti.
Potranno nascondere le proprie responsabilità evocando il nemico —
immigrati, banche, Ue o pensionati d’oro. Ma fino a quando?
Chiara
Saraceno sociologa si occupa di famiglia disuguaglianze povertà e
welfare Tra i suoi ultimi libri "Mamme e papà" (il Mulino, 2016) e
"L’equivoco della famiglia" (Laterza, 2017)