Repubblica 15.9.18
La strana alleanza
Perché a Xi serve Putin
di Paolo Garimberti
Due
carissimi nemici difficilmente possono diventare carissimi amici. Ma
possono diventare complici per allearsi contro un avversario comune.
Soprattutto quando condividono interessi economici, strategie militari e
fondano il loro potere sulla stessa visione ideologica.
È quanto
sta accadendo tra Vladimir Putin e Xi Jinping sotto gli occhi negligenti
dell’Occidente e il disinteresse dell’America trumpiana, convinta di
potere bacchettare il mondo nella più totale impunità. La minaccia di
tariffe commerciali alla Cina e di nuove sanzioni alla Russia è stata
anzi il motore che ha accelerato enormemente un processo che era in
corso, sottotraccia, da cinque anni: la prima visita di Xi a Mosca è
stata nel 2013, da allora si sono susseguiti ben 26 incontri tra i due
leader. Nei giorni scorsi, a Vladivostok, l’avamposto più orientale del
risorto impero russo, Putin e Xi hanno suggellato l’alleanza con un
vertice economico, che si proponeva chiaramente lo scopo di lanciare un
messaggio forte all’Occidente, arrivando perfino a prevedere l’uso delle
monete locali per scambi commerciali transfrontalieri. E non a caso
negli stessi giorni 300mila soldati dei due eserciti prendevano parte a
un’esercitazione militare congiunta, la più grande tenuta dalla Russia
dal 1981 a oggi. Xi ha spiegato questa spettacolare riconciliazione tra
due arcinemici, che ancora dieci anni fa facevano prove di guerra l’uno
contro l’altro armato, con una sorta di parabola incrociata: «In Cina
diciamo che gli amici si vedono nella sfortuna. E in Russia dicono che
l’amico non è quello che viene nei giorni di festa, ma quello che ti
aiuta nei giorni del disastro». Sembrano davvero remoti come un’era
geologica i giorni in cui l’Occidente sobbalzò al suono delle cannonate
che russi e cinesi si scambiarono lungo le rive del fiume Ussuri. Molti
giornali titolarono sulla «guerra cino-sovietica». In realtà non fu vera
guerra. I cinesi erano troppo deboli militarmente per confrontarsi con
la superpotenza sovietica. Scelsero piuttosto la via delle scaramucce e
perfino della derisione: sulla riva cinese dell’Ussuri i soldati di Mao
si calavano i pantaloni e mostravano il sedere ai militari di Breznev.
Ma tutto il mondo capì finalmente che il divorzio tra i due giganti del
comunismo mondiale era totale e apparentemente irreversibile.
L’ambasciata cinese a Mosca divenne un avamposto dell’antisovietismo:
neppure il cibo veniva comperato nei mercati moscoviti, ma arrivava per
corriere diplomatico da Pechino per non essere " contaminato". È stato
Putin a guardare a Oriente quando l’Occidente ha cominciato a voltargli
le spalle per la sua tracotanza internazionale e il suo autoritarismo
antidemocratico in patria. Il punto di svolta fu il vertice del G20 a
Brisbane, quando il presidente russo si sentì un paria, platealmente
rimbrottato da Angela Merkel, tanto da ripartire in anticipo. Era l’anno
seguente alla prima visita di Xi a Mosca. Da allora il percorso per
ricucire il grande scisma del secolo scorso è diventato sempre più
definito. Anche se le parti si sono invertite: oggi è la Cina il "grande
fratello", mentre una volta era il contrario. Ma Xi ha avuto la
sensibilità, o l’astuzia, di non far sentire la Russia il "piccolo
fratello", il grande complesso di inferiorità che l’ex colonnello del
Kgb si porta dietro da quando cominciò la carriera politica. Anche
perché la Cina ha bisogno della Russia sul piano industriale ( è il più
grande importatore al mondo del petrolio russo), sul piano militare e
infine anche sul piano politico-ideologico. Oggi anche Xi, come Putin
nel 2014, si sente isolato, specie dopo il forum trilaterale ( Usa, Ue e
Giappone) sul commercio tenutosi a Washington in agosto. Ora
l’Occidente rischia di fare l’errore uguale e contrario a quello che
fece negli anni ’ 50 e ’ 60: non dare importanza all’alleanza
russo-cinese, come allora non credette alla possibità dello scisma. Non a
caso Henry Kissinger, che nel 1972 fu l’architetto del grande disgelo
con la Cina in funzione anti-Urss, ha raccomandato a Trump di seguire "
il rovescio della strategia Nixon- Cina": riavvicinarsi alla Russia per
contenere la Cina. Ma Trump, si sa, non ascolta i buoni consigli.
Neppure quelli di un Grande Vecchio come Kissinger.