sabato 15 settembre 2018

La Stampa 15.9.18
La Cina ora è pronta:
“Andiamo sulla Luna”
di Francesco Radicioni


Non è un mistero che sviluppo economico e crescente peso geopolitico stiano trasformando la Cina in una delle potenze più ambiziose nell’esplorazione del cosmo: secondo gli analisti, la Repubblica popolare potrebbe ritagliarsi un ruolo di primo piano nella prossima corsa allo spazio. «Il nostro obiettivo - diceva Wu Yanhua, vicedirettore della China National Space Administration - è far diventare intorno al 2030 la Cina una delle più grandi potenze al mondo nel settore spaziale».
Nei prossimi mesi il rover della Chang’e-4 esplorerà «il lato oscuro della Luna». Una missione che consentirà a Pechino di raccogliere informazioni sulla parte più antica e profonda della crosta lunare, ma soprattutto di stabilire un primato: fino a oggi nessuno ha fatto ricerca sul lato della Luna più lontano dalla Terra. Oltre ai dettagli tecnici, la spedizione consentirà alla Cina di dimostrare di sapersi muovere liberamente nello spazio compreso tra la Terra e la Luna: una regione strategica dove si trovano satelliti civili, commerciali e militari. Non c’è solo la Luna al centro del programma della Repubblica popolare. Tra gli obiettivi scritti nel Libro Bianco del 2016 c’è anche lanciare una missione di esplorazione di Marte entro il 2020, proseguire la ricerca sugli asteroidi, sul sistema di Giove, sulle forme di vita extra-terrestre e sulle comunicazioni quantistiche, un settore - fondamentale per la sicurezza delle transazioni - in cui Pechino ha già un ruolo di leadership mondiale. Gli sviluppi del programma spaziale cinese dicono molto sulla direzione della Cina di Xi Jinping.
Nell’ultimo piano quinquennale, Pechino ha promesso di entrare nel club delle «grandi potenze spaziali», mentre la stampa cinese non perde occasione di celebrare i taikonauti come esempi di sviluppo scientifico e di orgoglio nazionale. Come durante la Guerra Fredda, sono proprio gli astronauti a incarnare il sogno di Pechino sullo spazio: qualche anno fa Wang Yaping - seconda donna a far parte di una missione della Cnsa - tenne una lezione in collegamento video dalla Shenzhou-10 con le scuole di tutta la Cina. «Due bombe, un satellite», prometteva Mao Zedong negli Anni 50.
È stato però solo nel 2003 - quattro decenni dopo Stati Uniti e Unione Sovietica - che la Repubblica popolare è riuscita a mandare per la prima volta un proprio astronauta, Yang Liwei, in orbita intorno alla terra. Nonostante il ritardo, anche in questo settore la Cina si muove velocemente. Dopo gli esperimenti nei laboratori spaziali Tiangong - banco di prova del know-how tecnico per le missioni - Pechino ora punta a creare una propria Stazione spaziale permanente. Secondo i piani, dovrebbe essere pronta a ospitare i taikonauti entro il 2022, quasi contemporaneamente a quando sarà smantellata la Stazione spaziale internazionale: uno dei simboli della fine della Guerra Fredda e della cooperazione tra Nasa, Esa, la Roscosmos russa, le agenzie spaziali di Giappone e Canada. «Ciò che non riescono a sviluppare da soli - ed è ancora molto - lo comprano in giro per il mondo», dice uno scienziato europeo che ha collaborato al programma spaziale cinese. In un settore in cui difesa, scienza e geopolitica si intrecciano, era inevitabile che le ambizioni di Pechino sullo spazio destassero preoccupazione a Washington.
Dal 2011 il Congresso ha fermato ogni collaborazione tra la Nasa e l’agenzia spaziale cinese. Dopo aver annunciato lo scorso dicembre l’intenzione di riportare gli astronauti americani sulla Luna, recentemente Donald Trump è tornato a spingere per la creazione della Us Space Force all’interno delle forze armate americane. Il messaggio dell’amministrazione è chiaro: lo spazio sarà sempre più un possibile campo di battaglia. «L’ambiente spaziale è profondamente cambiato nell’ultima generazione - ha detto ad agosto il vice presidente degli Stati Uniti Mike Pence - quello che era un luogo pacifico e incontrastato, è ora affollato e conflittuale».