il manifesto 15.9.18
A Gaza dimenticata si continua a morire, ieri tre palestinesi uccisi
Territori
palestinesi occupati. Proseguono le manifestazioni della Grande Marcia
del Ritorno ma i media internazionali non danno più attenzione alla
campagna contro il blocco israeliano di Gaza. Cariche della polizia a
Khan al Ahmar
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Gaza dimenticata, di nuovo. Sono bastate un po’ di indiscrezioni su un
accordo di tregua tra Israele e il movimento islamico Hamas «ormai
fatto» per far richiudere in un cassetto il voluminoso dossier di Gaza
e della condizione della sua gente: oltre due milioni di palestinesi
che vivono da prigionieri in meno di 400 chilometri quadrati. Ma
quell’accordo resta incerto, non se ne parla più. Anzi, si sono
complicati ancora una volta i rapporti tra i mediatori egiziani e la
leadership islamista e il Cairo ha richiuso il valico di Rafah, l’unica
porta di Gaza sul mondo arabo. In questo quadro i palestinesi uccisi
continuano a non fare notizia. Eppure ogni venerdì proseguono le
manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno cominciata a fine marzo.
E il bilancio anche ieri è stato drammatico. Diecimila forse più
palestinesi hanno raggiunto le linee di demarcazione con Israele per
chiedere la fine del blocco di Gaza e tre dimostranti – Shadi Abdel
Aal, 12 anni, Hani Afana, 30 e Mohammed Chakoura, 20 – sono stati
uccisi dai colpi sparati dai tiratori scelti sulla folla a Jabaliya e
Khan Yunis. I feriti sono stati almeno 248, 15 dei quali colpiti da
proiettili. Israele ha denunciato il lancio di due granate contro una
jeep e il ferimento di un soldato per lo scoppio di un ordigno. La sua
artiglieria ha fatto fuoco su presunte postazioni di Hamas in
particolare a Khouza.
Qualche ora prima in Cisgiordania, alle
porte di Gerusalemme Est, reparti della polizia israeliana avevano
chiuso gli accessi per Khan al Ahmar scatenando le proteste degli
abitanti e degli attivisti che provano a proteggere, con la loro
presenza, il villaggio beduino di cui la Corte suprema israeliana ha
decretato la demolizione oltre allo sgombero della comunità beduina che
vive in quella località da decine di anni. Almeno cinque manifestanti
sono stati arrestati, diversi i contusi. Due giorni fa, poco prima
dell’alba, la polizia aveva rimosso e smantellato cinque container
portati dai palestinesi con l’intenzione di dare vita a un nuovo
villaggio, Wadi al Ahmar, accanto a Khan al Ahmar.
Si aggrava lo
scontro tra la leadership palestinese e l’Amministrazione Trump. Jared
Kushner, inviato speciale in Medio oriente e genero del presidente
americano, giovedì in un’intervista aveva affermato che il
riconoscimento Usa di Gerusalemme come capitale di Israele, il taglio
di finanziamenti americani per centinaia di milioni di dollari ai
palestinesi e all’agenzia dell’Onu per i profughi Unrwa e la chiusura
dell’ufficio dell’Olp a Washington, non hanno diminuito le possibilità
di raggiungere un accordo, anzi, a suo dire le hanno accresciute. Ieri
Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente palestinese Abu Mazen ha
replicato che Kushner conferma «la sua totale ignoranza» del Medio
oriente. «Il popolo palestinese – ha avvertito Abu Rudeinah – non
accetterà pressioni, sanzioni o politiche di ricatto…le mosse americane
sono la prova di un pregiudizio cieco».
In queste ore si
riaccendono anche i riflettori sulla salute precaria dell’83enne Abu
Mazen. Il segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat, ieri in
un’intervista ha rivelato che a maggio il presidente palestinese si è
trovato in condizioni molto critiche e durante il suo ricovero per una
polmonite a Ramallah il suo entourage aveva perso ogni speranza.