giovedì 13 settembre 2018

Repubblica 13.9.18
Il reportage
La guerra in Siria
L’ultima preghiera di Idlib " Non lasciateci soli a morire"
Tre milioni di persone aspettano lo scontro che deciderà il conflitto. Per l’Onu "sarà la peggiore catastrofe umanitaria del secolo". Ma Assad e Putin sono decisi a conquistare la sacca di resistenza: anche a costo di sacrificare i civili
di Pietro Del Re


IDLIB.Terrorizzata dal rombo dei caccia russi, così persistente in queste ore, Nur non chiude occhio da una settimana. E sebbene rintanata assieme ai genitori nello scantinato di un palazzo alto tre piani, dopo lo schianto di ogni missile sparato dal cielo e di ogni barile di esplosivo sganciato dagli elicotteri da combattimento di Damasco, la bambina comincia a tremare. «Abbiamo già subìto questo tipo di bombardamenti massicci ad Aleppo, da dove siamo fuggiti nel 2016, e per lei ogni bomba è un annuncio di morte: a 9 anni ha visto cose che nessuno dovrebbe vedere», sospira il padre della piccola, Mahmoud, 38 anni, baffi ispidi e capelli irti, che con la sua vecchia Peugeot mi fa da guida nella provincia nord-occidentale di Idlib. Ex ingegnere, Mahmoud insegna oggi in una scuola di Maarat al-Numan, cittadina a una trentina di chilometri dal capoluogo Idlib, bersagliata dallo scorso weekend dai Sukhoi di Mosca.
Per arrivarci attraversiamo buona parte dell’ultima roccaforte della rivolta contro il regime siriano, costretti a lunghe deviazioni per aggirare le porzioni della provincia nelle mani di Hayat Tahrir al-Sham, l’alleanza jihadista legata ad Al Qaeda.
Questa regione, che era una volta il granaio della Siria, presenta ora un’infinita distesa di campi profughi, sparsi in mezzo a edifici sventrati e a radure butterate dai crateri. Tra colline spelacchiate e campi incolti non vedo una casa o una moschea che non sia stata ferita dalle bombe. Nulla è rimasto intatto. «I raid di questi giorni sono soltanto l’assaggio di quello che ci aspetta perché, com’è capitato altrove, i bombardamenti dell’aviazione russa serviranno a spianare la strada all’offensiva di terra delle truppe del regime con l’aiuto delle forze iraniane».
Nel 2011, prima che scoppiasse la guerra, qui vivevano 700mila persone, ma con l’afflusso di chi è fuggito dalle città riconquistate dall’esercito lealista - fra cui Homs, Aleppo, la Ghouta orientale e più recentemente Daraa - nella provincia se ne contano oggi 3milioni. Di queste, più dei due terzi sopravvivono soltanto grazie agli aiuti umanitari, per lo più forniti dalla vicina Turchia, in campi dove mancano elettricità, acqua corrente e fogne. Lunedì scorso, il responsabile umanitario delle Nazioni Unite, Mark Lowcock, ha dichiarato che un attacco da terra su grande scala provocherebbe «la peggiore catastrofe umanitaria nel 21esimo secolo, con la più grande perdita di vite umane». Per credergli, basta vedere quello che sta accadendo dopo i raid degli ultimi giorni, che hanno spinto 30mila profughi a lasciare le tende dov’erano accampati nel sud della provincia, perché anch’esse centrate dai razzi. Avvicinandoci a Maarat al-Numan, intercettiamo alcuni di questi disperati che adesso vagano senza meta, intrappolati in una terra che ha così tanti rifugiati da non poterne più accogliere. Già, perché sempre secondo l’Onu, è proprio in questa regione che si registra la più grande concentrazione di rifugiati al mondo. «Troveranno rifugio tra le rovine di qualche edificio distrutto perché non hanno altri posti dove andare», dice ancora Mahmoud.
Certo, la provincia s’è anche trasformata in un santuario per jihadisti, anch’essi provenienti da tutto il Paese dopo le sconfitte di questi anni (sarebbero circa 15mila, secondo le stime degli esperti). Sono loro che il regime di Assad e suoi alleati russi e iraniani vogliono sterminare. Lo stesso Vladimir Putin ha dichiarato che il regime siriano ha il diritto di incidere questo bubbone «e di riprendersi il controllo della regione». E il presidente iraniano Hassan Rouhani gli ha subito fatto eco sostenendo che «il terrorismo va sradicato dalla Siria, in particolare da Idlib».
Ma nel vasto mosaico dell’insurrezione queste milizie estremiste non prevalgono, sebbene la propaganda governativa ne abbia sempre esagerato l’importanza per giustificare i suoi massacri. Per questo, Mahmoud è certo che ancora una volta saranno i civili a pagare il prezzo più alto: «Solo sabato, i russi hanno lanciato 60 raid in tre ore, lasciando sotto le macerie 120 persone e centrando 4 ospedali. Ad ogni morto ammazzato che vedo, bruciato dall’esplosione di un razzo o avvelenato da un’arma chimica, mi chiedo che cosa fanno le grandi potenze, e che cosa aspettano a intervenire per evitare un ennesimo bagno di sangue».
I ribelli, intanto, siano essi jihadisti o appartenenti al nuovo Fronte di liberazione nazionale in cui è confluito l’Esercito libero siriano, si preparano tutti all’avanzata delle truppe lealiste facendo saltare i pochi ponti ancora non abbattuti da un missile, scavando trincee o creando nuove alleanze tra fazioni avverse per contrastare il nemico comune. Anche Ankara si accinge a fermare la potenziale ondata di profughi che l’offensiva di terra farebbe inevitabilmente tracimare in Turchia, con Erdogan che ha già avvisato di non essere disposto a farsi carico di altri 800mila profughi (tanti ne prevede l’Onu) poiché il suo Paese già ne accoglie 3,5 milioni.
All’alba di ieri, avvicinandomi alla frontiera siriana, ho per caso assistito a parte di un imponente dispiegamento di mezzi blindati e tank turchi lungo la confinante regione di Antakya.
Spaventate dalle conseguenze di un possibile attacco, quali per esempio la dispersione dei foreign fighters oggi concentrati a Idlib, le cancellerie occidentali lanciano moniti e minacce. Ma dipende tutto da Putin: soltanto lui potrà decidere se scatenare una tempesta di fuoco anche su Idlib, come ha già fatto sulle altre roccaforti della rivolta, oppure se frenare i suoi caccia lasciando combattere alle truppe lealiste una guerra di posizione dall’esito incerto. I bombardamenti degli ultimi giorni lasciano presagire il peggio.
A sera, accomiatandomi dalla piccola Nur m’accorgo che il suo viso è di un biancore azzurrognolo. Le faccio una carezza, e alla fine riesco anche a strapparle un sia pur mesto sorriso.