mercoledì 12 settembre 2018

Repubblica 12.9.18
Mafia Capitale
Una verità che fa paura
di Attilio Bolzoni


Esultavano con una mezza dozzina di anni di carcere in più sul groppone e adesso si disperano con una condanna più mite da scontare. Potere del 416 bis. Con le prime reazioni a questo verdetto — e ora possiamo ancora utilizzare l’espressione "Mafia Capitale" senza eccessive prudenze — viene da pensare che il problema non fossero soltanto gli odierni imputati ma piuttosto una " questione" un po’ più seria e complessa: può esistere o non può esistere la mafia nella capitale d’Italia? Il varco si era già aperto con le sentenze sui Fasciani di Ostia e sui Casamonica, ma la sentenza di ieri — per tutto ciò che è accaduto prima e dopo — ha davvero un altro peso e porta con sé una " carica" in grado di aprire nuovi e ancora più sorprendenti scenari. Questo pronunciamento della Corte di Appello è un punto di arrivo ma sembra anche un punto di partenza.
Ci mancava solo il "bollo" di un collegio giudicante sulla mafiosità di Massimo Carminati e di Salvatore Buzzi. Ed è arrivato un anno e un’estate dopo un verdetto di primo grado che aveva escluso un condizionamento mafioso di un’associazione criminale sulla vita politica ed economica di Roma, una mafia che non era mafia e che non si sarebbe potuta mai trasformare in "vera" mafia in quanto "de’ Roma", non siciliana e non calabrese o napoletana, una mafietta buona per « un processetto » ( definizione ribadita ieri in aula ancora da Giosuè Naso, l’avvocato difensore del " Cecato"), qualcosa magari di un po’ sgradevole ma mai da elevare a mafia e soprattutto con una " M" maiuscola. Lo scrivevamo qualche riga più su: potere del 416 bis nel far perdere la trebisonda anche con pene carcerarie più lievi e far sproloquiare chi direttamente o indirettamente lo subisce.
Potere del 416 bis, arma insidiosissima che a tutti i costi si è voluta disinnescare nel dibattito pubblico approfittando di una sentenza di primo grado che non ha avuto il coraggio di riconoscere ciò che era ben riconoscibile. Potere del 416 bis che adesso rimette in discussione il "territorio": Roma. E le sue mafie. A cominciare da quella del " Mondo di mezzo" dell’ex Nar Carminati e del boss delle cooperative rosse Buzzi, i capi di un sodalizio smascherato da preziosissime investigazioni dei reparti speciali dei carabinieri e "inquadrato" dal procuratore capo della Repubblica, Giuseppe Pignatone, e dai suoi aggiunti e sostituti che si sono applicati nello " studio" di una mafia che nessuno aveva mai sfiorato prima. Da questo momento in poi sarà molto faticoso sostenere quella tesi " negazionista" che tanti fan ha trovato a sinistra e a destra in questi quasi quattro anni, da quando è stata svuotata una sacca maleodorante dove crimine e pubblica amministrazione si incrociavano, dove c’era un pezzo di Comune e un altro pezzo di Regione sottomesso alle voglie e agli appetiti di un "nero" e di un "rosso" che andavano amorevolmente d’accordo, dove tutto era controllato come a Palermo o come in Calabria, in modo diverso ma controllato sempre con la violenza e con il denaro della corruzione.
È una sentenza che fa paura perché può fare storia, perché è precedente importante per altre consorterie romane che potrebbero entrare nel mirino delle investigazioni, perché tira una linea molto netta: il prima e il dopo. In ballo al processo non c’erano soltanto quei due e i loro pittoreschi guardaspalle e picchiatori come "Spezzapollici" o certi tirapiedi politici facilmente sostituibili, in ballo c’era una città che non doveva e non poteva essere "sporcata" con la mafia e dalla mafia. Doveva restare fuori Roma, estranea, lontana. E vi ricordate, non c’era anche chi fin dall’inizio era insorto contro i procuratori che avevano infangato "il buon nome" della prima città d’Italia agli occhi del mondo? Ora una Corte di Appello con il suo giudizio ci riprova a "sputtanarla".
Un’ultima annotazione è per il procuratore Pignatone. È la seconda volta, in dieci anni, che "scopre" la mafia fuori dalla sua Palermo e dalla Sicilia che ha lasciato nel 2008. Prima a Reggio, dove sino a quella stagione la lotta giudiziaria alla ’ndrangheta era praticamente all’età della pietra. Poi, fra tante insidie e grida e paure, qui in una Roma che sembrava intoccabile.