Corriere 12.9.18
Il pd vuole rinascere? scelga un leader duro che scaldi i cuori
di Antonio Macaluso
Trovare
un segretario o un leader? Cambiare nome al partito o mantenerlo?
Allargare il perimetro o ripartire da quello attuale? Riscrivere un
programma o reinventarlo? Ritrovare se stessi, insomma, o diluirsi nel
futuro? Sono scelte che ne determineranno la riscossa o l’irrilevanza
quelle che il Pd ha ineluttabilmente davanti. Un muro alto e sempre più
vicino per passare oltre il quale — senza sfracellarsi — ci sarà bisogno
di intelligenza, passione, generosità. Ma anche fortuna.
La
rovinosa caduta che accompagna ormai i democratici da quel maledetto 4
dicembre 2016 sconta — oltre alla evidente, perdurante incapacità
interna a rigenerarsi — l’esplosione di popolarità del binomio
sovranista-populista. Una tenaglia che giorno dopo giorno ha stritolato
la struttura centrale e periferica, la fiducia dell’elettorato e l’idea
stessa di ciò che il Pd è stato. Come liberarsi da questa tenaglia?
La
prima lapalissiana constatazione è che quel partito non potrà mai più
essere lo stesso. In conseguenza, i suoi capibastone dovranno dimostrare
nei fatti se restano solo per tenersi la loro ridotta fetta di potere
(sperando magari di rosicchiarne altri pezzetti a qualcuno più incapace
di loro) o per dare finalmente qualcosa, per essere generosi, lasciare
strada al nuovo, aprire le finestre. Alzi la mano chi ha — anche solo
per sentito dire — notizia di gesti del secondo tipo. Non se ne vedono.
Dunque, già si parte male. Anche perché — come sempre — si comincia
dalla ricerca di un capo in quanto dotato (o dotabile) di più truppe di
altri, anziché di più idee, migliori, nuove. Al momento, l’unica vera
candidatura è quella del Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. Oltre
alla riconosciuta onestà e capacità come amministratore della cosa
pubblica, la sua vera forza interna al Pd sta nel fatto di essersi
sempre tenuto alla larga da Matteo Renzi, anche quando questi era
all’apice della carriera. Davvero qualcuno può pensare di ribaltare la
storia con un uomo che potrà essere forse un buon segretario ma è meno
scontato possa essere il leader che serve? E quale asso ha nella manica
Renzi da opporre a Zingaretti? Se i nomi sono quelli che circolano — e
questa volta ce li risparmieremo — il pantano si fa palude. E il tandem
Salvini-Di Maio continua a impadronirsi delle viscere debilitate del
Paese. Volendo rifarsi alla sempre attuale analisi gramsciana, il potere
è basato sulla presenza contemporanea di forza e consenso: se prevale
l’elemento della forza si ha dominio; se prevale il consenso si ha
l’egemonia. Per come si sono messe le cose, Lega e M5S quel potere — sia
a livello di società politica che di società civile — lo gestiscono con
tutti i crismi.
È evidente che per ribaltare un assetto del
genere, per riconquistare il proprio popolo e guadagnare nuovi consensi,
occorre un signor leader, un capo vero, autorevole, capace, duro ma che
sappia anche scaldare i cuori. Perché la durezza dei tempi, per dirla
con Che Guevara, non deve far perdere la tenerezza dei cuori. Ma per
fare questo, bisogna tornare nella testa e nella pancia della gente,
nelle sue giornate vissute e nei suoi sogni. Non basta fare qualche
riunione in questa o quella periferia cittadina, girare in treno, andare
davanti alla nave Diciotti o a qualche fabbrica in lotta per dire
«siamo tornati». Tornati da dove, poi? Dai salotti che invitano i
potenti di turno? Da scissioni suicide? Da talk show dove si abbaia alla
luna? Carlo Calenda lancia l’idea del Fronte Democratico, ci mette
passione, è tosto e franco con gli avversari. Sgomita, si sente il
nuovo, la carta da giocare. Ma plana da mondi diversi, belli, comodi,
eleganti. Certo, in una folla di dirigenti inebetiti, è dirompente, fa
la sua figura, ma ha la stoffa del leader? Ci risiamo. Eppoi: per essere
alternativi, per convincere la gente che non è vero che i populisti li
capiscono e li aiutano e loro invece no, che la sicurezza non è per
forza di destra, che la sinistra non è porte aperte a tutti gli
immigrati che sbarcano, che la sinistra non si è venduta l’anima al
grande capitale ma con i mercati bisogna fare i conti: per tutti questi
motivi e tanti altri ancora, che proposte innovative sapranno tirare
fuori? Al punto in cui siamo, davvero servono cilindri dai quali far
saltare fuori idee e facce nuove. E magari anche qualche cotillon perché
sorridere, sognare e divertirsi è solo l’altro lato — necessario — di
credibilità, capacità, passione.