l’espresso 23.9.18
Impolitico è l’uomo senza più utopie
di Roberto Esposito
Cosa
vuol dire “impolitico”? Qual è il significato di questo termine - al di
là di quello datogli da Thomas Mann nelle sue “Considerazioni”? Per
rispondere a questa domanda bisogna prima di tutto distinguerlo dai due
concetti cui viene erroneamente assimilato - l’antipolitico e
l’apolitico. Quanto all’antipolitica è lo stesso Mann a situarla
nell’orizzonte politico che essa vuole contrastare: «L’antipolitica è
anch’essa una politica, giacché la politica è una forza terribile; basta
solo sapere che esiste e già ci si è dentro, si è perduta per sempre la
propria innocenza». Nel momento stesso in cui si oppone alla politica,
facendone il proprio bersaglio, l’antipolitica parla il suo stesso
linguaggio, non è che una forma mascherata di politica. L’elezione di
Trump ne costituisce un esempio perfetto. Ma anche in Italia ne abbiamo
avuto esperienza diretta Il caso più eclatante è quello dei 5 Stelle.
Che hanno costruito il proprio successo politico indossando in da subito
le vesti dell’antipolitica. Ciò vale, in generale, per tutti i
populismi, arrivati al potere contestando ogni politica - tranne
naturalmente la propria. Ma l’impolitico è diverso anche
dall’atteggiamento apolitico. Perché anche questo, pur astenendosi dalla
partecipazione alla cosa pubblica, ha sempre un effetto politico. Come
accade per l’astensione. Chi si astiene - e sono sempre più a farlo
nelle democrazie occidentali - rafforza politicamente una parte di
coloro che intendono delegittimare. Come è noto, in America non vota più
del 50 per cento degli aventi diritto - ma ciò gioca oggettivamente a
favore di uno dei due candidati alla Presidenza. Nei paesi come la
Francia, in cui è previsto il ballottaggio, si va al potere con una
percentuale ancora minore. In questo senso l’esercito degli
astensionisti - che non considerano degno nessun partito del proprio
voto - costituisce di fatto un vero partito. Spesso il maggiore sul
piano numerico. In questo senso dichiararsi apolitici perde di
significato, perché comunque, anche se la si rifiuta, si sta all’interno
della dialettica politica. Se l’antipolitica è una forma di politica
attiva, speculare alla politica avversata, l’apolitica è una politica
passiva, ma non meno rilevante sul piano delle conseguenze nella
formazione dei governi e dunque nella distribuzione del potere. Ben
diverso il punto di vista dell’impolitico, come si è andato configurando
nell’opera di alcuni autori “eretici” del Novecento. Nessuno di loro
intende contrapporre alla politica un valore etico o estetico, come
aveva invece fatto Mann. E come pretendono di fare gli antipolitici e
gli apolitici ogni volta che attaccano la politica. Al contrario gli
impolitici ritengono che la politica - il conflitto di interesse e di
potere - riempia l’intera realtà. In questo senso il punto di vista
dell’impolitico coincide con il realismo politico, con cui condivide la
consapevolezza che “la politica è il destino”. Non solo, ma un destino
segnato dalla presenza inevitabile del male. Che si può contenere,
limitare, ma con cui è necessario convivere. «Anche i primi cristiani»,
scrive Max Weber in “Politik als Beruf”, «sapevano perfettamente che il
mondo è governato da demoni e che chi s’immischia nella politica, ossia
si serve della potenza e della violenza, stringe un patto con potenze
diaboliche». Ciò non vuol dire che si debba idolatrarle, rivestirle di
un valore che non hanno. Tra politica e valore vi è un solco incolmabile
Il Bene non è traducibile in politica, come la Giustizia non può mai
incarnarsi perfettamente nel diritto. Solo l’ignoranza diffusissima del
significato sia della Giustizia che del diritto può indurre a
sovrapporli. Il compito dell’impolitico è custodire il senso tragico di
questa distinzione. Assumere la realtà per quella che è non vuol dire
inchinarsi a essa. Al contrario solo la consapevolezza della sua
ineluttabilità, può delineare, ai suoi margini esterni, il profilo di
un’altra dimensione non sua prigioniera: «Su questa terra», afferma
Simone Weil, «non c’è altra forza che la forza. Questo potrebbe essere
un assioma. In quanto alla forza che non è di questa terra, il contatto
con essa si paga solo al transito di qualcosa che assomiglia alla
morte». Questo qualcosa è appunto la Giustizia, la cui realizzazione è
sbandierata ai quattro venti dai professionisti dell’antipolitica. Al
contrario l’impolitico è lontano da ogni utopia. Ma anche dal cinismo di
chi contrabbanda il proprio interesse per il bene generale. Egli, dalla
sua posizione defilata, testimonia la contraddizione drammatica tra
l’aspirazione al Bene e l’impossibilità di realizzarlo politicamente.
Mai, come ben sapeva Weber, l’etica della convinzione - che si attiene
ai puri principi - e l’etica della responsabilità, che tiene conto delle
conseguenze dell’azione, possono coincidere. Anche se chi è “chiamato”
alla politica deve cercare di accostarle quanto è possibile. A questa
eterna tensione tra finito e infinito è destinato l’impolitico. Ma cosa
importa di tutto ciò Simone Weil e Max Weber ai nostri politici?