l’espresso 23.9.18
Vade retro, diritti
Separazioni più costose. Legge sulle unioni civili svuotata, come per l’aborto. Ecco la strategia gialloverde
di Susanna Turco
Adesso
che, per puro caso, Matteo Salvini è diventato a Roma vicino di casa
del leader del Popolo della Famiglia Mario Adinolfi, a voltarsi indietro
salta fuori che molte cose erano state apparecchiate per tempo. La
promessa elettorale c’era - attenzione, anche da parte dei Cinque
Stelle. Il contratto di governo pure. I protagonisti erano preparati a
scendere in campo, ognuno col suo ruolo: a partire dal senatore Simone
Pillon, protagonista di Family day, amico del ministro Lorenzo Fontana,
concrezione avvocatesca in cui l’ansia declaratoria di un Domenico
Scilipoti si agglutina con la determinazione al cilicio di una Paola
Binetti. C’erano le parole, i testi, l’iniziativa parlamentare. Mancava
giusto la compagnia di giro - il coro, i figuranti, le prefiche - ma
anche quella si sta rapidamente (ri)costituendo, dalle Eugenia Roccella
ai Maurizio Gasparri e gli altri 148 sottoscrittori dell’entusiasta
intergruppo parlamentare “Vita, Famiglia e Libertà” (c’è pure la
Binetti, rieletta e militante in Noi con l’Italia), insieme con un clima
che non si respirava così da almeno un decennio. Ed ecco così che con
una coerenza assoluta alle premesse torna rinnovata, più agile e insieme
più minacciosa, la saldatura tra un pezzo di politica e pezzi di mondo
cattolico (il Family day, i teocon) - nel nome della difesa della
cosiddetta «famiglia tradizionale». Non sono per forza e solo gli stessi
nomi. Nemmeno le istanze sono identiche. Ma l’ambizione è persino più
alta: nel 2007 era fermare l’ingresso in Italia di certi istituti, come
Dico o Pacs. Adesso si tratta di smontare, riavvolgere il ilo. Il
divorzio breve, le unioni civili, il biotestamento. Sopire,
disapplicare. «Dobbiamo recuperare il terreno perso negli ultimi anni e
spostare il confine un po’ indietro nel tempo, dopo una legislatura
orribile», è il programma di Gaetano Quagliariello, il senatore di Forza
Italia noto soprattutto per la frase che urlò al Senato nel 2009
(«Eluana non è morta, è stata ammazzata»). Anche lui è parte del
gruppone Vita e famiglia - dove fa capolino, da fuori, pure Massimo
Gandolini, leader del Family Day. Una specie di utopia regressiva. Fin
dove si potrà arrivare, in concreto? La legislatura è in realtà appena
agli inizi, si è lavorato pochissimo, nessuno ha preso le misure di
alleati e avversari. Però è chiaro che per difendere la famiglia
tradizionale si può andare a gradi, seguendo come bricioline le parole
di Salvini e degli altri del centrodestra. Vale a dire: ribadire che è
«composta da uomo e donna», ossia distinguerla dalle coppie omosessuali
anche dal punto di vista linguistico, grado uno; grado due, rendere più
complicate separazione e divorzio; grado tre, incentivare la natalità -
faccenda che va dal mitologico «quoziente familiare», fino «all’aiutare
le donne a far nascere bambini» (Pillon), anche «con ingentissimi
incentivi economici» (Pillon) per giungere al capolinea inquietante del
«se vuole ancora abortire, glielo impediamo» (ancora Pillon, in una
intervista alla Stampa); grado quattro, dire no alle adozioni da parte
delle coppie gay - facendo leva anche sulla mancanza di una legge che
regoli la stepchild adoption.
Via genitore 1 e 2
Ed ecco
come, passo passo, il governo della maggioranza gialloverde, nello
specifico il suo lato salviniano, conduce la faccenda. Il grado uno, per
dire, sta un pezzo avanti: già in estate il ministro dell’Interno ha
fatto saltare la dicitura «genitore 1» e «genitore 2» sulle carte di
identità; ora sono semplicemente indicati come genitori, la volontà
chiara è tornare a «padre» e «madre» rimettendo in un angolo le famiglie
arcobaleno (cosa per cui la sinistra ha già dato, inutilmente, del
«troglodita» al vicepremier leghista che se ne bea). Dietro la porta c’è
la questione dei figli di coppie omosessuali, lasciata pilatescamente
in mano ai giudici, e a varie altre discrezionalità, dalla legge
Cirinnà. Sullo sfondo c’è un clima che si va facendo diverso: grandi
preparativi perché a marzo toccherà proprio all’Italia, precisamente a
Verona, la città di Fontana, ospitare il Congresso Mondiale della
famiglia - Salvini e il ministro hanno già confermato la loro
partecipazione; mentre in questi giorni, in Umbria, il protocollo di
lotta all’omofobia si è arenato in Prefettura e la Garante regionale per
l’infanzia che ne ha sollecitato lo sblocco, è bersagliata dalla
richiesta (leghista) di dimettersi. Ma il paradigma perfetto a
raccontare l’epoca sul fronte dei diritti è nella proposta di legge che
vuol cambiare le norme sull’affido, firmata da Pillon, che ha appena
mosso il primo passo in commissione Giustizia a Palazzo Madama (un passo
piccolo: è stato deciso che si farà un ciclo di audizioni di esperti.
Ma nello stesso tempo un passo grande: ha cominciato il lungo iter per
diventare legge). Il testo che, in un sol colpo, si propone di
capovolgere alcuni capisaldi di separazione e divorzio in coppie con
minori, sostituendo le storture esistenti con altre peggiori: via
l’assegno per il mantenimento del figlio, largo alla «bigenitorialità»
perfetta fatta almeno 12 giorni al mese con un genitore, obbligo della
mediazione familiare per decidere tutto (Pillon è mediatore familiare e
ha uno studio che si occupa di mediazione familiare, come ha scritto
online L’Espresso provocando le proteste del senatore che ritiene non
trovarsi in conflitto di interessi). La proposta sembra nata come un
fungo, perché di temi etici e diritti, al momento di stendere il
contratto di governo, Lega e Cinque Stelle non vollero discutere. E
invece ha origini ben precise.
Proposte M5S e ddl Cirinnà
Nel
contratto di governo intanto, dove nella sottovalutazione generale già
si enunciavano nero su bianco quelli che poi sarebbero divenuti i
principi cardine del ddl Pillon («rivisitazione dell’istituto
dell’affidamento condiviso», «tempi paritari tra genitori»,
«mantenimento in forma diretta», «norme volte al contrasto della
alienazione parentale»). Ma, ancor prima, nei rispettivi programmi
elettorali. In quello della Lega, certamente. Ma, cosa meno nota, anche
in quello dei Cinque Stelle. Il che da solo dovrebbe dare una risposta a
quanti confidino nella voglia della classe politica grillina di
sfilarsi da una iniziativa del genere - magari dimenticando che, ai
tempi del ddl Cirinnà, all’ultimo momento M5S si sfilò proprio per
scelta di Di Maio, che oggi governa con Salvini. C’è scritto infatti
chiaro e tondo, nel programma elettorale presentato da M5S. Nella
sezione dedicata alla giustizia, un punto recita chiaro che serve un
«aggiornamento dell’istituto dell’affido condiviso e potenziamento della
bigenitorialità», specifica che il «mantenimento deve essere disposto
in forma diretta» (cioè niente assegno di un genitore all’altro), mentre
qualche pagina dopo si mette un paletto sull’obbligo della mediazione:
«Per le questioni in cui sono coinvolti figli minorenni, si ritiene sia
necessaria l’obbligatorietà della mediazione civile». Tutto ciò sta
nella seconda versione del programma. Cioè non quella estesa e votata in
tandem con la rete degli attivisti (dove il punto manca del tutto),
bensì quella finale - diversa dalla prima, come a suo tempo scoprì il
Foglio. Bene. Oggi, quelle parole, impegnano i parlamentari M5S persino a
monte del programma di governo. Cambiale ai padri separati
Una
maggioranza dunque c’è. E la volontà politica? Per quella, è sufficiente
ripercorrere a ritroso le mosse di Salvini. Prima delle serate
settembrine in cui si fa i selfie sul terrazzo del superattico che gli
tocca come ministro dell’Interno a due passi da via del Plebiscito,
Salvini ha messo in lista, per la prima volta nella storia della Lega,
personaggi vicini al Family Day, come appunto Pillon, che proviene dal
Forum delle associazioni familiari, ma anche il giurista Giancarlo
Cerelli, dell’Unione Giuristi cattolici. Quando non era ancora
vicepremier, si batteva a Milano per la causa dei padri separati. Gioiva
per l’approvazione, nella Lombardia guidata da Maroni, della legge che
dava un tot al mese a chi di loro avesse figli a carico. E spiegava:
«Conosco l’Associazione dei padri separati e so bene che ci sono casi
disperati. La norma sull’affido condiviso non è applicata e la giustizia
italiana 9 volte su 10 avvantaggia le donne. Noi in Lombardia abbiamo
fatto passi avanti, ma dovrebbe darsi una mossa il Parlamento». Di
esponenti delle varie associazioni, già nel 2013, ne fece candidare
quattro solo in Lombardia. E su Youtube si ritrovano interviste ancora
più antiche a personaggi come Domenico Fumagalli, Associazione padri
separati Lombardia, a personaggi come un Antonio Borromeo che aveva
fatto a piedi duemila chilometri per perorare la causa. Parlava della
Festa della paternità di Brugherio, Salvini, e prometteva già allora:
«Ci batteremo per un nuovo condiviso e per un vero alternato, un vera
mediazione familiare». In pratica, dice l’ex parlamentare e oggi
responsabile diritti Pd Sergio Lo Giudice: «siamo alla congiunzione
luciferina di due istanze: una è quella di Pillon e della sua ideologia,
nella quale fa chiaramente capire il suo obiettivo, cioè rendere più
difficile la separazione e magari evitarla del tutto. L’altra è la
cambiale della Lega al Movimento dei padri separati, che in Italia è una
lobby significativa e ha da anni in Salvini un punto di riferimento».
Figli al centro, ma è falso
Per
paradosso, la parola d’ordine con cui si illustra il ddl Pillon, così
come tutti gli altri eventuali step di difesa della famiglia
tradizionale è sempre: mettiamo al centro il bambino. Ma questo, come
spiega all’Espresso l’avvocata Manuela Ulivi, che da decenni si occupa
di questi temi, è un falso. Insieme con l’argomento che si diminuisca la
conflittualità. «È, al contrario, un progetto di legge che va contro i
figli, perché li mette al centro del contrasto tra i genitori, di un
conflitto allucinante, nella pretesa astratta che si possa dividere a
metà». Falso pure che diminuisca la conflittualità: «Quel contrasto
viene fomentato, si pretende di far trovare a una coppia che si separa
un accordo minuto, dettagliato, proprio sui punti che di solito l’hanno
fatta esplodere: la gestione dei figli, i soldi. Di solito giudici e
avvocati mediano, semplificano: qui al contrario si crea un percorso a
ostacoli che sembra non finire mai. Che parte con una mediazione,
obbligatoria, a pagamento, che ha profili di incostituzionalità. E si
arriva fino alla previsione per cui, se un bambino parla male di un
genitore, viene spedito in comunità. Con questa premessa la
conflittualità è destinata ad aumentare, sulla pelle dei bambini: altro
che risparmi, avremo il doppio delle cause». Parola magica: disapplicare
Ma appunto, nominalmente è al centro il bambino. Come lo è nelle parole
che utilizza Pillon per spiegare la sua posizione sull’aborto: «Una
donna la libertà di scelta ce l’ha prima di concepire una vita. Dopo c’è
il diritto di un innocente a venire al mondo», ha detto di recente. Il
bambino è anche l’argomento di Salvini per spiegare il suo no «finché
campo» alle adozioni gay: «Le discriminazioni sono una roba folle, se
vado dal medico non so se è etero o gay, con chi vive, e non mi
interessa. Ma un bambino viene al mondo, o viene adottato, se ci sono
una mamma e un papà». Ecco, è seguendo questo ragionamento che il leader
leghista, all’epoca dell’approvazione delle unioni civili con il
governo Renzi, disse citando don Milani: «Se una legge è sbagliata, si
può disapplicare», invitando i sindaci a «disobbedire», a non
rispettarla. Ad esempio non trascrivendo. Ecco, adesso che la Procura di
Roma ha fatto ricorso contro le trascrizioni dei bambini nati
all’estero con la maternità surrogata, si intuisce fino a che punto il
clima possa ancora cambiare. Perché Salvini ha già chiarito il giorno
del giuramento di avere «nessuna intenzione di rivedere leggi del
passato, come l’aborto e le unioni civili». Ma le leggi non c’è bisogno
di rivederle, a volte basta «non applicarle». L’ha detto il ministro
dell’Interno.