La Stampa TuttoLibri 29.9.18
Bugiardo, audace e violento:, sono Mussolini, figlio del ’900
Dai fasci di combattimento, agli omicidi politici, alle donne la parabola del dittatore che “fiutò” lo spirito del tempo
di Mirella Serri
La
mucca è morta per una malattia infettiva. Il veterinario per evitare il
contagio ne cosparge di petrolio la carcassa e la seppellisce in una
profonda fossa. Ma i contadini del Polesine riesumano la bestia e la
divorano. Giacomo Matteotti - chiamato dai nemici «socialista
impellicciato» poiché figlio di un ricco proprietario terriero - nella
campagna elettorale e nei comizi nelle sue terre fa di questa vicenda il
simbolo della fame secolare e della povertà che spingono a mangiare
cadaveri putrefatti. Il deputato, detto anche Tempesta, è solo uno dei
tanti protagonisti dello splendido romanzo di Antonio Scurati, M. il
figlio del secolo. Con questo primo tomo - e ve ne sono in cantiere
altri due per ricostruire la biografia di Benito Mussolini - lo
scrittore napoletano nel suo «racconto-verità», dove persino i dettagli
sono storicamente verificati, ripercorre gli esordi del Duce: la
narrazione inizia il 23 marzo 1919, quando a Milano nei locali
dell’Associazione Commercianti ed esercenti si riunì lo scarso manipolo
di reduci che diede vita ai primi Fasci di combattimento, e termina alle
ore 15 del 3 gennaio 1925 con il Capo che, «accigliato e scuro in
volto», dopo l’omicidio dell’onorevole Matteotti denuncia la campagna
denigratoria nei suoi confronti e dà il via al regime dispotico.
Il
romanzo-documento di Scurati è un antidoto nei confronti di ogni
indulgenza verso la dittatura: ci porta nelle viscere del fascismo, nel
cuore dell’ascesa al potere degli ex combattenti, dei folli, dei
delinquenti, dei fanatici e di tutta la «schiuma» di una terra
avvelenata che riuniva i piccoli artigiani, i commercianti, gli
impiegati statali i quali, dopo aver abbandonato il moschetto che non
aveva regalato loro alcuna gloria, non avevano più un lavoro né mezzi di
sostentamento. Come del resto gli operai e i contadini aggrediti dalla
violenta crisi economica. Di questo straordinario affresco in camicia
nera fanno parte non solo Gabriele D’Annunzio, Italo Balbo e Filippo
Tommaso Marinetti ma anche figure meno note di quel «mondo di morti» che
fu al potere per oltre vent’anni, come Michele Bombacci, uno dei
fondatori del Partito Comunista d’Italia divenuto fedelissimo del Duce e
poi fucilato dai partigiani a Dongo; Cesare Rossi, ex militante
socialista e principale consigliere del despota; Amerigo Dùmini –
picchiatore e sicario che si presentava «Dùmini otto delitti».
Quest’ultimo nel 1924 fu tra i membri della Čeka del Viminale a capo del
manipolo che sequestrò e accoltellò Matteotti.
Il «cerchio
magico» delle belle signore che idolatrarono il Mascellone fu costituito
da Margherita Sarfatti, dalla giovanissima Bianca Ceccato costretta ad
abortire, da Ida Dalser che chiamò suo figlio con il nome del padre,
Benito, a cui aggiunse Albino, e da Angela Curti. La dolce e remissiva
Angela lo aveva avvicinato nel marzo del 1921 per ottenere la
liberazione del marito ed era caduta tra le sue braccia. Divenne madre
di Elena a cui Lui riconobbe una grande somiglianza con la sua «mascella
quadrata».
Con un linguaggio alto, forte e ricco d’immagini,
Scurati tratteggia anche le molteplici identità del tiranno abile
politico e capace di imprevedibili voltafaccia. Come avvenne, per
esempio, nel caso degli squadristi torinesi che si scatenarono dopo la
marcia su Roma nella resa dei conti con i socialisti. Nel dicembre 1922
il feroce Piero Brandimarte che prendeva gli ordini dal monarchico
fascista Cesare Maria De Vecchi, dette avvio alla mattanza per vendicare
due suoi accoliti uccisi da un tramviere. In piena notte gli squadristi
invasero l’abitazione di un fattorino delle tramvie e prima di
assassinarlo lo torturarono davanti alla moglie e alla figlia. Poi toccò
a un operaio comunista e al segretario della sezione torinese del
sindacato metalmeccanici che legato per i piedi al paraurti posteriore
di un camion fu trascinato per le strade del capoluogo sabaudo. Negli
scontri morirono 14 uomini e vi furono 26 feriti mentre venivano date
alle fiamme la Camera del Lavoro, il circolo dei ferrovieri anarchici e
la sede dell’Ordine Nuovo. Mussolini protestò veemente e, indignato,
definì il massacro «un’onta per la razza umana». Diceva sul serio? Per
nulla. Tre giorni dopo proclamava l’amnistia per i reati di sangue a
sfondo politico. E non solo: il 28 dicembre veniva istituita la Milizia
Volontaria per la Sicurezza nazionale e il sanguinario Brandimarte ne
diventava uno dei responsabili.
Bugiardo e spergiuro, il dittatore
fu anche un Giuda pronto a liberarsi degli uomini a lui più vicini,
come D’Annunzio. Oppure a far manganellare i seguaci ribelli, come il
fascista dissidente Cesare Forni, bastonato in pieno giorno alla
stazione di Milano. Fu anche un ottimo attore e performer: al Teatro
Olimpia di Firenze, Mussolini si presentò alle folle plaudenti in tuta
da aviatore come se fosse appena sceso dal suo aeroplano mentre aveva
trascorso la notte tra le soffici coltri dell’hotel Baglioni. Il Duce
non si smentì mai nella sua proteiforme volgarità: avvertito della
scomparsa di Matteotti, mentre tutto il Paese era attanagliato dalla
paura, commentò: «Sarà andato a puttane!». Subito dopo Mussolini buttava
alle ortiche democrazia e libertà e con celebri passaggi oratori
spalancava le porte all’assolutismo: «Se il fascismo non è stato che
olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della
migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato
un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a
delinquere!». Come dargli torto? Affermazioni sacrosante che non si
potevano certo smentire.