il manifesto 29.9.18
La musica non è un lusso
Palestina. Al
Conservatorio di Gaza i giovani suonano per esercitare i loro diritti:
all’educazione, al gioco, all’espressione. Il racconto di Cultura è
Libertà, associazione italiana che sostiene il progetto
di Alessandra Mecozzi
GAZA
CITY Arrivo a Gaza il 12 agosto, dopo aver passato i tre controlli:
quello israeliano, quello dell’Autorità nazionale palestinese e quello
di Hamas.
Sono contenta di aver raggiunto questa striscia di terra
quasi inaccessibile. Il mare calmo, che evoca un’idea di libertà, ci
ricorda invece che questa popolazione è imprigionata: i pescatori hanno
il mare, ma non possono pescare, se non a rischio di essere colpiti dai
proiettili israeliani. C’è divieto di bagnarsi, per l’inquinamento
dovuto al danneggiamento del sistema idrico di riciclo delle acque
reflue. Ma i ragazzini ci sguazzano allegramente. Le navi della Flotilla
per Gaza, con a bordo aiuti umanitari, sono state sequestrate al largo
dai militari israeliani.
Undici anni di assedio e numerosi
attacchi militari hanno stremato Gaza: ospedali al collasso, mancanza di
materiali per ricostruire le strutture bombardate, esportazioni ridotte
al minimo e ora anche i pesanti tagli di Trump (300 milioni di dollari)
all’Unrwa, in una terra in cui i profughi sono il 70% della
popolazione.
PUÒ DUNQUE SEMBRARE fuori luogo una campagna di
raccolta fondi per il Conservatorio musicale Edward Said, a Gaza. Ma, mi
dice Sima Khoury, la vice direttrice del Conservatorio nazionale, che
ho incontrato a Ramallah: «Il bisogno di musica e di cultura è stato a
lungo ignorato. L’attenzione della maggior parte dei donatori locali e
internazionali si è concentrata sulle risposte umanitarie all’emergenza o
sulla ricostruzione politica ed economica. Ma la musica non è un lusso.
I traumi subiti dai giovani a causa delle distruzioni e delle bombe
possono essere in parte curati con l’educazione musicale, il gioco,
l’apprendimento».
Entrando a Gaza, vado subito a incontrare i
destinatari del progetto di Cultura è Libertà: «Musica per i bambini/e
contro la distruzione: borse di studio e sostegno al Conservatorio
Edward Said». Ne usufruiranno ragazzini e ragazzine le cui famiglie non
possono pagare mille shekel all’anno (230 euro) e contribuiranno alla
sopravvivenza del Conservatorio che per ognuno spende 4.500 shekel
(mille euro).
GIÀ SIMA AVEVA parlato dell’amore per la musica che
c’è a Gaza. A volte le famiglie pensano che questo studio potrà dare a
figlie e figli una possibilità di recarsi all’estero e trovare un
lavoro. Ma la musica tra i giovani, il 70% della popolazione, significa
in primo luogo possibilità di esprimersi e comunicare in una terra da
cui è possibile raramente uscire, spesso solo per curarsi. Questa terra,
certo povera e infelice, ma ricca di voglia di vivere e di farsi
sentire dal mondo.
IL CONSERVATORIO DI GAZA sorprende: per la cura
con cui è tenuto, per la quantità di bambini e bambine che lo
frequentano, per la passione degli insegnanti, come Alina, russa,
insegnante di violino. E poi per la scelta di dedicare gli spazi non
solo alle lezioni di musica, chitarra, piano, strumenti ad archi, ma
anche alle attività di gioco, lettura, cartoni animati.
Il giovane
direttore, Ismail Daoud, figlio di musicisti, è lui stesso affermato
suonatore di oud (liuto arabo). È felice del nostro progetto. La
passione di Ismail per la musica percorre i suoi racconti nella visita
che facciamo al Conservatorio, dove attualmente ci sono 200 bambini/e.
Inoltre alcune decine seguono i programmi esterni, dove viene
individuato chi ha maggior talento e potrà usufruire della borsa di
studio per frequentare il Conservatorio.
«PER CONTINUARE abbiamo
sempre bisogno di aiuti, per fortuna di recente il governo norvegese ha
contribuito con suoi fondi. Cerchiamo di realizzare scambi con altri
paesi e ospitiamo insegnanti di musica volontari, per brevi periodi: da
cinque a 15 giorni. Siamo in contatto con il Centro italiano di scambi
culturali Vik e lavoriamo anche con la Scuola di musica Al Kamandjati
(la raccolta fondi sosterrà le attività dei bambini nel Festival 2019
ndr). Abbiamo un piccolo laboratorio di riparazione degli strumenti
musicali dove ripareremo, ci vorrà molto lavoro, anche i tre violoncelli
che abbiamo ricevuto da voi».
I tre strumenti (regalatici da un
liutaio francese) li avevamo portati a Gaza tre anni fa, in vista della
creazione del laboratorio di Al Kamandjati «Liutai a Gaza», che non ha
però potuto realizzarsi per il perdurante divieto dell’autorità
israeliana di far entrare gli insegnanti da Ramallah. I soldi raccolti
allora hanno così contribuito al Festival di Al Kamandjati a Gaza, nel
2017 e nel 2018.
«Anche noi – prosegue Ismail – organizziamo un
festival, in ottobre e novembre: il Sea and Freedom Festival. Nato nel
2015, presenta ogni anno in diverse città artisti locali e ospiti che si
esibiscono soprattutto in generi musicali arabi. Il festival
contribuisce a dare la possibilità ai palestinesi di Gaza, specialmente
ai giovani, di partecipare alla vita culturale e alla produzione
artistica, un loro diritto, come dice la Carta dei diritti umani delle
Nazioni unite».
RICORDO CHE ALL’INIZIO del governo di Hamas, molte
erano le restrizioni e i divieti nei confronti di spettacoli e musica.
«Adesso non più, non abbiamo problemi. Abbiamo sempre i permessi per
spettacoli e feste, con qualche limite: tener separati maschi e femmine,
non far cantare in pubblico ragazze da una certa età in poi. Ma come
vedete cantano tutte e i gruppi sono misti».
Tre giorni dopo vado
alla bella festa, lo spettacolo di fine anno scolastico, partecipata da
una quantità di bambini/e e ragazzi/e. Insieme, ballano, suonano e una
ragazza con una bellissima voce si esibisce anche in un assolo.
PENSO
CON TRISTEZZA che il giorno in cui sono arrivata ho visto le macerie
del teatro El Meshal, bombardato e distrutto da Israele solo alcuni
giorni prima, come il Villaggio degli artisti. L’attacco alla cultura è
uno degli strumenti di «guerra» di Israele, con cui intende distruggere
socialità e identità, mentre viola costantemente anche il diritto umano
alla cultura.
Ma ho anche visto che gli indomabili ragazzi di
Gaza, il giorno dopo il bombardamento, hanno tenuto un concerto sulle
macerie, sopra le quali hanno scritto «Free Palestine».
Lunga vita
perciò al Conservatorio Edward Said. Diamogli una mano. Per contribuire
alla copertura delle borse di studio, potete partecipare al
crowdfunding su https://buonacausa.org/cause/musicabambini. O visitate
il sito di Cultura è Libertà palestinaculturaliberta.wordpress.com, dove
trovate l’Iban dell’associazione.