sabato 29 settembre 2018

La Stampa TttoLibri 29.8.18
Se Stalin telefona di notte Pasternak rinnega l’amico
La vita da romanzo (non sempre eroico) dell’autore del “Dottor Zivago” dai poeti che non osò salvare, al dramma di Olga che per amore finisce ai lavori forzati
di Mattia Feltri


Nella Mosca di Stalin un grande pianista sta suonando Chopin. Si blocca, scoppia in lacrime, sbatte il coperchio della tastiera e lascia il palco fra la meraviglia e il clamore del pubblico. Il pianista si chiama Genrikh Neigaus. Sua moglie, Zinajda, lo ha appena lasciato per mettersi col suo migliore amico, il sommo poeta Boris Pasternak. Potrebbe essere la trama classica di una commedia di Hollywood, è invece la superficie dello sprofondo. Pasternak, per avere la donna, ha ingoiato un tubetto di medicinali. Lei lo salva e si strazia. Lui lascia la prima moglie e il figlio e va a vivere con lei. Finché non incontrerà la giovane Olga, le darà appuntamento sotto una statua di Puškin, le parlerà a lungo, la congederà per poi raggiungerla a casa: Olga, mi sono scordato la cosa più importante, io ti amo.
Le cose belle costano care. L’amore di Pasternak costerà a Olga la fortuna inestimabile. Pasternak è l’intoccabile – lasciatemi stare questo abitante delle nuvole, diceva Stalin agli aguzzini con gli artigli affilati. Pasternak sa incatenare le parole, le sa far suonare, e ha paura, controlla che non una sillaba stoni con le aspettative di regime. Attorno a lui camminano uomini morenti, poeti che temono la tirannia, e la affrontano. Marina Cvetaeva gli scrive lettere crepitanti – quanto saremmo stati felici insieme, avremmo cantato in questo e quell’altro mondo. Lui abbandona la lirica – quanto ti amo! Sono separati da chilometri, da storie in cui sono entrati a capofitto, dal disastro dei tempi, e dall’indole imbelle di Pasternak. Lei, sempre in disgrazia, senza lavoro, senza soldi, senza una mano tesa («sono sola, sono un deserto umano»), troverà un chiodo a cui impiccarsi. Anna Achmatova per la polizia culturale non è una poetessa, è metà suora e metà sgualdrina. Suo marito, il poeta Nikolaj Gumilev, era stato arrestato e fucilato per cospirazione monarchica, e Anna imparò a memoria le sue poesie perché non lasciassero traccia ma avessero un futuro. Sarà arrestato anche il secondo marito, e pure Lev, il figlio di Anna; lei trascorre l’esistenza dentro una tana di terrore e di irriducibile resistenza, coltivando ammirazione e affetto per Pasternak, il maestro che non ha mai un problema. E poi Osip Mandelstam, forse il più grande, schiena drittissima, convoca gli amici e recita un epigramma in cui Stalin è il montanaro del Cremlino, ha dita grasse come larve, baffi di scarafaggio, un antropofago per cui ogni omicidio è un banchetto. Non può durare tanta sfrontatezza. Lo arrestano, lo condannano al gulag, muore durante il trasferimento. Stalin chiama Pasternak nel cuore della notte, gli chiede di Mandelstam, Pasternak balbetta, si scansa di lato, cerca di cambiare discorso, Stalin prova ribrezzo – non hai nemmeno saputo difendere un compagno, io per un amico mi sarei fatto in quattro.
Questo non è un libro, è uno strepitoso, desolante ed esaltante balletto di fantasmi che volteggiano nella più allucinata e inafferrabile dittatura del Novecento. Esaltante perché poi la soluzione è nel titolo – Il senso di colpa del dottor Zivago. Pierluigi Battista ci porta dritti verso l’unica cosa che conta delle nostre vite: non possiamo essere migliori degli altri, possiamo soltanto cercare di essere migliori di noi stessi. E dunque si deve tornare a Olga, la giovane Olga che si innamora di Pasternak sotto la statua di Puškin, e che di notte viene presa, portata alla Lubjanka, condannata ai lavori forzati. Ogni cedimento, ogni piccolo sbandamento del poeta non può che dipendere da quest’anima nera di donna. Anche Olga diventa un fantasma che danza attorno a Pasternak. Non ha saputo proteggerla, come non ha saputo proteggere la prima e la seconda moglie, ha allungato giusto qualche rublo a Mandelstam e a Cvetaeva, ha dimenticato Achmatova, ha assistito al loro tracollo e quello di tanti altri col dolore attutito dal muro di protezione che si era costruito attorno. E lì che mette mano alla sua unica opera in prosa, il romanzo progettato per decenni – Il dottor Zivago. Olga è Lara, lui è Jurij, i loro indici sono puntati dritti contro il male sovietico, e il domani non avrà pace, ma Pasternak saluterà finalmente la folla dei fantasmi guardandoli negli occhi.