La Stampa TttoLibri 29.8.18
Se Stalin telefona di notte Pasternak rinnega l’amico
La
vita da romanzo (non sempre eroico) dell’autore del “Dottor Zivago” dai
poeti che non osò salvare, al dramma di Olga che per amore finisce ai
lavori forzati
di Mattia Feltri
Nella Mosca di
Stalin un grande pianista sta suonando Chopin. Si blocca, scoppia in
lacrime, sbatte il coperchio della tastiera e lascia il palco fra la
meraviglia e il clamore del pubblico. Il pianista si chiama Genrikh
Neigaus. Sua moglie, Zinajda, lo ha appena lasciato per mettersi col suo
migliore amico, il sommo poeta Boris Pasternak. Potrebbe essere la
trama classica di una commedia di Hollywood, è invece la superficie
dello sprofondo. Pasternak, per avere la donna, ha ingoiato un tubetto
di medicinali. Lei lo salva e si strazia. Lui lascia la prima moglie e
il figlio e va a vivere con lei. Finché non incontrerà la giovane Olga,
le darà appuntamento sotto una statua di Puškin, le parlerà a lungo, la
congederà per poi raggiungerla a casa: Olga, mi sono scordato la cosa
più importante, io ti amo.
Le cose belle costano care. L’amore di
Pasternak costerà a Olga la fortuna inestimabile. Pasternak è
l’intoccabile – lasciatemi stare questo abitante delle nuvole, diceva
Stalin agli aguzzini con gli artigli affilati. Pasternak sa incatenare
le parole, le sa far suonare, e ha paura, controlla che non una sillaba
stoni con le aspettative di regime. Attorno a lui camminano uomini
morenti, poeti che temono la tirannia, e la affrontano. Marina Cvetaeva
gli scrive lettere crepitanti – quanto saremmo stati felici insieme,
avremmo cantato in questo e quell’altro mondo. Lui abbandona la lirica –
quanto ti amo! Sono separati da chilometri, da storie in cui sono
entrati a capofitto, dal disastro dei tempi, e dall’indole imbelle di
Pasternak. Lei, sempre in disgrazia, senza lavoro, senza soldi, senza
una mano tesa («sono sola, sono un deserto umano»), troverà un chiodo a
cui impiccarsi. Anna Achmatova per la polizia culturale non è una
poetessa, è metà suora e metà sgualdrina. Suo marito, il poeta Nikolaj
Gumilev, era stato arrestato e fucilato per cospirazione monarchica, e
Anna imparò a memoria le sue poesie perché non lasciassero traccia ma
avessero un futuro. Sarà arrestato anche il secondo marito, e pure Lev,
il figlio di Anna; lei trascorre l’esistenza dentro una tana di terrore e
di irriducibile resistenza, coltivando ammirazione e affetto per
Pasternak, il maestro che non ha mai un problema. E poi Osip Mandelstam,
forse il più grande, schiena drittissima, convoca gli amici e recita un
epigramma in cui Stalin è il montanaro del Cremlino, ha dita grasse
come larve, baffi di scarafaggio, un antropofago per cui ogni omicidio è
un banchetto. Non può durare tanta sfrontatezza. Lo arrestano, lo
condannano al gulag, muore durante il trasferimento. Stalin chiama
Pasternak nel cuore della notte, gli chiede di Mandelstam, Pasternak
balbetta, si scansa di lato, cerca di cambiare discorso, Stalin prova
ribrezzo – non hai nemmeno saputo difendere un compagno, io per un amico
mi sarei fatto in quattro.
Questo non è un libro, è uno
strepitoso, desolante ed esaltante balletto di fantasmi che volteggiano
nella più allucinata e inafferrabile dittatura del Novecento. Esaltante
perché poi la soluzione è nel titolo – Il senso di colpa del dottor
Zivago. Pierluigi Battista ci porta dritti verso l’unica cosa che conta
delle nostre vite: non possiamo essere migliori degli altri, possiamo
soltanto cercare di essere migliori di noi stessi. E dunque si deve
tornare a Olga, la giovane Olga che si innamora di Pasternak sotto la
statua di Puškin, e che di notte viene presa, portata alla Lubjanka,
condannata ai lavori forzati. Ogni cedimento, ogni piccolo sbandamento
del poeta non può che dipendere da quest’anima nera di donna. Anche Olga
diventa un fantasma che danza attorno a Pasternak. Non ha saputo
proteggerla, come non ha saputo proteggere la prima e la seconda moglie,
ha allungato giusto qualche rublo a Mandelstam e a Cvetaeva, ha
dimenticato Achmatova, ha assistito al loro tracollo e quello di tanti
altri col dolore attutito dal muro di protezione che si era costruito
attorno. E lì che mette mano alla sua unica opera in prosa, il romanzo
progettato per decenni – Il dottor Zivago. Olga è Lara, lui è Jurij, i
loro indici sono puntati dritti contro il male sovietico, e il domani
non avrà pace, ma Pasternak saluterà finalmente la folla dei fantasmi
guardandoli negli occhi.