La Stampa 9.9.18
“Il nascondiglio di Putin?
È nella casa di Trump”
di Paolo Mastrolilli
«Donald
Trump ha un rapporto diretto con la mafia russa, e quindi con gli
apparati del governo di Mosca da cui essa dipende, che risale agli anni
Ottanta. Senza i loro soldi e il loro aiuto non sarebbe mai diventato
presidente, e li ricambia condividendo il progetto di demolire il
sistema occidentale. Lui sostiene di non aver commesso reati, o di non
sapere chi fossero i suoi interlocutori, ma questa è la vera collusione
sviluppata nel corso degli anni, fino all’elezione alla Casa Bianca come
asset di Putin. Ciò finirà per emergere dalle inchieste in corso». È la
versione di Craig Unger, descritta nel suo libro Casa di Trump, Casa di
Putin, che esce ora in Italia per La Nave di Teseo.
Quando nasce il presunto rapporto di Trump con la mafia russa?
«La
chiave è capire che la mafia russa è diversa da quella italiana. È un
apparato dello stato. Oleg Kalugin, ex capo del controspionaggio di
Mosca, mi ha detto che dipendeva dal Kgb, e ora dai nuovi servizi
segreti, quindi da Putin. L’elezione di Trump è stata dunque la più
grande operazione di intelligence mai condotta, senza sparare un colpo. I
primi contatti risalgono al 1984, quando Trump incontrò David Bogatin.
Era un esponente della mafia, che comprò da lui 5 appartamenti per 6
milioni di dollari, l’equivalente di 15 milioni di oggi. Secondo il
ministro della Giustizia di New York erano denaro sporco. Così comincia
l’uso delle proprietà di Trump da parte della mafia russa per il
riciclaggio. Il rapporto è durato oltre tre decenni, e io ho individuato
almeno 59 intermediari russi che hanno interagito con Trump da allora
ad oggi. Se si considera il legame tra la mafia russa e l’intelligence,
si comprende anche perché quella che era nata come un’operazione
finanziaria è diventata poi politica».
Kalugin le ha detto che già
nel 1987 Trump era stato in Russia, e durante la visita i servizi
avevano raccolto materiale compromettente su di lui di natura sessuale.
Ha le prove?
«Sono voci. Kalugin non ha visto il materiale, ma ne ha sentito parlare, ed era una persona molto informata».
Lei
scrive che diversi capi della mafia russa come Vjaceslav Ivankov,
inviato in America del boss Semen Mohylevyc, hanno operato dalla Trump
Tower. Esiste la prova che lui lo sapesse?
«È difficile provare
cosa sapesse Trump, però nella sua carriera ha concluso circa 1.300
vendite di proprietà in circostanze apparenti di riciclaggio, ossia
contante e società anonime. Se fai una cosa 1.300 volte è difficile che
non sai di cosa si tratta».
Lei scrive che il rapporto più importante in tempi recenti è stato quello con la Bayrock e il suo direttore Felix Sater. Perché?
«Negli
anni ‘90 Trump era in bancarotta, a causa delle operazioni fallite ad
Atlantic City. Aveva oltre 4 miliardi di debiti e nessuna banca
occidentale, a parte Deutsche Bank, era disposta a fargli credito. Nel
2002 la Bayrock si stabilì al 24esimo piano della Trump Tower e gli
propose un nuovo modello di business: noi mettiamo i soldi per la
costruzione delle proprietà, e tu ci metti il nome. In cambio, ti
paghiamo tra il 18 e il 25% di diritti. Così Trump è rinato. Ma i
rapporti di Bayrock con le istituzioni di Mosca sono provati, e i soldi
venivano da FL, banca islandese nota per il riciclaggio di denaro sporco
russo».
Lei sostiene che collaborando con Bayrock Trump forniva
informazioni di intelligence a Putin, perché gli consentiva di sapere
cosa facevano gli oligarchi con i soldi portati fuori dalla Russia. Era
cosciente di essere una spia del Cremlino?
«È difficile provarlo. Però durante una deposizione negò di conoscere Sater, e questa era una bugia. Perché la disse?».
Il rapporto Steele sostiene che i russi ripresero Trump che compiva atti sessuali perversi. Ci sono le prove?
«Io ho parlato con persone nel mondo del crimine organizzato, e credono che esista».
Se Trump aveva rapporti così buoni con Mosca, perché non è mai riuscito a costruire nulla in Russia?
«Perché se vuoi riciclare soldi, li porti fuori dalla Russia».
Il rapporto era finanziario, e poi è diventato politico?
«In
realtà già al ritorno del viaggio del 1987 Trump aveva acquistato
pagine di pubblicità su giornali come il New York Times, per prendere
posizioni filo russe e contro il sistema occidentale. La politica estera
di Trump favorisce Putin perché condivide l’obiettivo di distruggere le
allenze occidentali».
L’incontro del giugno 2016 alla Trump Tower
con emissari russi che offrivano materiale imbarazzante su Hillary
prova la collusione?
«A quell’incontro in casa sua parteciparono
il figlio Don, il genero Kushner, e il manager della campagna Manafort:
vi pare possibile che Trump non ne sapesse nulla?».
Lui può sostenere che non conosceva la provenienza dei soldi della mafia russa investiti nelle sue proprietà.
«Ma
aveva creato una struttura per vendere senza fare domande. Negli Usa
esiste il principio legale della cecità volontaria, e io credo che in
questo caso un buon procuratore potrebbe provarla».
Può rispondere che non conosceva i legami tra Bayrock e Mosca.
«Quando
disse di non conoscere Sater, il New York Times aveva scritto che Felix
era un criminale condannato, ma Donald aveva continuato a fare profitti
con lui. È difficile provare cosa sapesse, ma si potrebbe, attraverso i
suoi ex collaboratori che hanno accettato di collaborare col
procuratore Mueller, come l’avvocato Cohen e il commercialista
Weisselberg».
Può dire che non sapeva di dare informazioni a Putin.
«Il presidente degli Stati Uniti ha ospitato agenti russi nella sua Trump Tower per 35 anni, senza saperne nulla?».
Lui dice che non c’è stata collusione, e Mueller non ha prove.
«L’intera
operazione, dagli anni Ottanta ad oggi, è la collusione. Senza i soldi
dei russi, e l’aiuto di Mosca durante la campagna elettorale, Trump non
sarebbe diventato presidente».
Putin non potrebbe averlo sostenuto a sua insaputa?
«E
l’incontro alla Trump Tower con gli emissari russi non aveva fatto
suonare alcun allarme? Perchè il figlio Don aveva scritto in una mail
che voleva le loro informazioni? Il procedimento legale si svilupperà
come un domino, chiarendo tutto».
Pensa che Mueller incriminerà Trump, o pubblicherà un rapporto?
«L’inchiesta
è un treno che sta correndo contro un muro, finirà male. O lo stato di
diritto prevarrà, e Trump sarà costretto a lasciare, oppure potrebbe
reagire con atti incostituzionali, per trasformare gli Usa in un regime
autoritario».