La Stampa 8.9.18
I festival non bastano, l’Italia non sa leggere
di Bruno Ventavoli
La
buona notizia è che La ragazza con la Leica ha «stregato» i lettori.
Grazie al Premio ha venduto 120 mila copie. Complimenti a Janeczek e
Guanda, il suo editore (se li meritano entrambi). La notizia brutta,
invece, è che il primo titolo della classifica dei bestseller (vedi pag.
XII di Tuttolibri), vale meno di 6 mila copie.
Per la cronaca, si
tratta del Metodo Catalonotti, un’indagine di Montalbano, impreziosita
da una romantica melanconia amorosa. Camilleri resiste nella top ten da
13 settimane, ha fatto la sua strada. Ci mancherebbe che dopo due mesi
le vendite non calassero! Il problema è il mercato. Perché 6 mila copie
sono davvero pochine. Sono però lo specchio d’un Paese iperconnesso,
trafelato, livoroso che ha espulso il libro dalla quotidianità e riempie
ogni vuoto di tempo libero con attività digitali. Durante il weekend,
il libro risorgerà a Mantova, dove la gente addirittura paga per sentir
parlare di scrittura. La lista degli incontri è intelligente, fitta,
raffinata. Code di lettori che si confondono con i passeggiatori dello
shopping. Libri e hot dog. Birre e appunti di lettura. Muse e musi. Un
parnaso postmoderno.
Ma un festival (come le rondini) non fa
primavera. Il libro che negli anni del boom, in un’Italia ben più povera
e più analfabeta, era un pezzo indispensabile dell’intimità domestica e
della vita pubblica, ora è desaparecido. Ad esempio, in due settimane
di vacanze agostane su una spiaggia ho misurato a passi tardi e lenti i
più affollati arenili. Ogni giorno tre chilometri ad andare e tre
chilometri a venire. Svariati svaghi di palla (divertentissimo il calcio
tennis con le apposite reti high tech), smartphone a gogò, giochi di
carte, persino le vecchie biglie vintage di plastica con le fotine dei
ciclisti. E tre soli libri avvistati: Aramburu (Patria), un Connelly
(non ho scorto il titolo e non ho spiato più di tanto la copertina per
non passare da provolone), e Bouvard e Pécuchet (il più bel romanzo
della modernità). Certo, è una «esperienza» sul campo, soggettiva,
casuale, parziale. Ma il problema esiste.
Urge escogitare metodi
per rifamiliarizzare gli italiani con i libri. Per renderli di nuovo
friendly. Dato che le kermesse culturali non bastano, facciamoli
apparire nei reality, sui banchi di Montecitorio, nei video di
youporn... Ovunque. Purché si (ri)vedano e l’umanità digitale ricordi
che ancora esiste un oggetto di carta, rilegato, comodo, discreto,
economico (è importante comprarlo, nell’era del tutto gratis), che si
sfoglia, nutre la fantasia, e si gode in affollata solitudine.