mercoledì 5 settembre 2018

La Stampa 5.9.18
I sovranisti nella patria dello Stato sociale
Gli ex neonazi puntano a prendersi la Svezia
di Monica Perosino


Jimmie Åkesson ci crede ancora, forse come mai prima d’ora. «Voglio essere il primo ministro della Svezia, voglio ribaltare il potere costituito, voglio cambiare il Paese». Il leader dei Democratici svedesi, il partito populista di destra che aspira a diventare il secondo del Riksdag, ha riverniciato l’immagine della formazione neonazista e l’ha trasformata in un partito sovranista anti-migranti. L’operazione ha funzionato: gli Sverigedemokraterna galleggiavano sulla soglia di sbarramento (4%) nel 2010, oggi sono proiettati a conquistare il 19%, ma potrebbero arrivare oltre.
Domenica prossima 7,3 milioni di elettori decideranno quale strada imboccherà il Paese, e sebbene i sondaggi facciano pensare a un nuovo – debole – governo di minoranza a guida socialdemocratica, la svolta sarà comunque storica: l’ondata sovranista che ha invaso l’Europa rischia di arrivare fino a Stoccolma e incrinare il regno incontrastato della rosa rossa di Stefan Löfven, che potrebbe registrare il peggior risultato di sempre (-10% rispetto alle ultime elezioni).
«Quando pensiamo alla Svezia la associamo alla socialdemocrazia – dice il politologo Patrik Öhberg -. Ma sembra che questa epoca stia per finire, siamo diventati un Paese come qualsiasi altro, e il bastione della socialdemocrazia sta per diventare un cumulo di macerie». Se si eccettuano i governi di Pedro Sanchez in Spagna e di Antonio Costa in Portogallo (anche se nessuno dei due ha vinto le elezioni), il declino in Europa dei socialisti sembrerebbe inarrestabile. E, sebbene sia altamente improbabile che questo sarà il turno di Åkesson gli effetti della propaganda anti migranti e della «Sweden First» hanno avuto effetti anche sulla politica del premier socialdemocratico Löfven, che è stato costretto, come già lo era stata Merkel, a un passo indietro nell’accoglienza. La Svezia nel 2015 era il Paese «che non chiude le porte a nessuno» (accolse 135.000 migranti), tra il 2017 e il 2018 è diventato il Paese che accoglie, ma ogni tanto sospende Schengen e aumenta i rimpatri.
I temi della campagna
I socialdemocratici sono stati al potere per la maggior parte degli ultimi 100 anni, e senza interruzioni il primo partito per numero di voti. Coerentemente, la forza politica del «padre» della socialdemocrazia moderna, Olof Palme, ha concentrato la campagna sull’aumento del Welfare e, meno coerentemente, ha tentato di compiacere l’elettorato di centro con la promessa di una restrizione alle politiche storicamente liberali in materia di asilo. Come Jimmie Åkesson voglia cambiare il Paese è invece meno definito: se si eccettua la volontà di una Swexit, tutta la divisiva campagna elettorale (e il programma di governo) ruota attorno alle politiche anti migranti «per una Svezia agli svedesi». Il risultato è ancora una volta lo stato sociale, in questo caso destinato solo agli svedesi. Ma il suo sogno gialloblu potrebbe dover aspettare: tutti i principali partiti si sono rifiutati di pensare ad alleanze di governo con i Democratici svedesi, per le sue radici nei movimenti neonazisti. Ciò significa che il giorno delle elezioni potrebbe essere solo l’inizio di un periodo di grande instabilità politica, con un governo di minoranza debole e lo spettro di elezioni anticipate, in un momento in cui gli analisti prevedono una probabile flessione dell’economia durante il prossimo mandato.
Il nodo Swexit
L’allarme lo lancia l’ex premier (Moderati), Carl Bildt, sullo «Svenska Dagbladet»: «Mi spiace vedere che il nodo più importante di queste elezioni non sia stato preso sufficientemente sul serio: la proposta più pericolosa dei Democratici svedesi è il referendum per chiedere l’uscita della Svezia dalla Ue. E di questo che dovremmo tutti essere molto, molto preoccupati».