La Stampa 5.9.18
La voglia di fico del nuovo pd
di Federico Geremicca
Si
può minimizzare l’accaduto ricorrendo a spiegazioni tattiche (il nemico
del mio nemico è mio amico) o perfino a letture psicologiche, che
spiegano quale rapporto paradossale possa instaurarsi - a volte - tra
«vittima» e «carnefice» (sindrome di Stoccolma).
L’accaduto però
resta: e gli applausi e il calore che hanno circondato Roberto Fico alla
Festa de l’Unità di Ravenna, qualcosa vorranno pur dire.
Dicono,
prima di tutto, di un popolo (o quel che ne è rimasto) alla disperata
ricerca di un riferimento - di un leader - che indichi da dove ripartire
e che via seguire. Frastornato dalla sensazionale sconfitta elettorale,
turbato da analisi che indicano destra e sinistra come categorie ormai
superate, e sgomento per le piccole risse che ancora agitano quel che
resta dello stato maggiore, il cosiddetto «popolo di centrosinistra»
sembra infatti in attesa che qualcosa - o qualcuno - arrivi a
ristabilire qualche certezza.
In molti, dentro e fuori il Pd,
avevano sperato che la lezione subita il 4 marzo spingesse il gruppo
dirigente a metter mano con rapidità ad una indispensabile (e
autocritica) rivoluzione nei temi e nei volti da proporre al Paese: a
questa aspettativa, invece, si è risposto con un biblico allungamento
dei tempi del Congresso, un sordo braccio di ferro tra segretari uscenti
e segretari reggenti ed una vera e propria Babele di proposte intorno
alla strada da imboccare.
Vale qui la pena di indicarne solo
alcune: ripartire da Pd, cambiare nome al partito, sciogliersi in un
«fronte repubblicano», andare alla ricerca di un nuovo Ulivo, affrontare
le elezioni europee con un listone di sinistra che faccia da levatrice
per un nuovo soggetto politico... Tutto e il contrario di tutto. Con
pochissima attenzione a quello che oggi appare il tema cruciale: come
fare opposizione ad un governo che, piaccia o non piaccia, sembra
interpretare sentimenti e paure tutt’ora largamente maggioritari nel
Paese.
Queste vaghezza e queste difficoltà si sono tradotte, di
fatto, in un «tasso di opposizione» assai ridotto e scarsamente
convincente. Ed è anche per questo che non possono destare meraviglia
gli applausi riservati al presidente della Camera: che pur militando nel
fronte avverso (diciamo pure il più avverso) ha accettato l’invito alla
Festa dell’Unità e lì ha elencato - con linguaggio netto e
comprensibile - le cose che lo rendono distante da Matteo Salvini, dalla
Lega e dai suoi alleati.
Con l’aria che tira tra i militanti del
Pd, sarebbe bastato anche meno per guadagnarsi simpatie e consensi.
Resta solo da domandarsi cosa resti dell’intervento di Roberto Fico a
Ravenna e che senso può essere attribuito al modo col quale alcuni
quotidiani ieri hanno titolato la sua performance: «Fico conquista il
Pd». Per dirla più direttamente: quante possibilità ci sono che
l’attuale presidente della Camera possa essere tra i ricostruttori di un
nuovo centrosinistra?
Dovessimo fare una previsione oggi, diremmo
pochissime. Anzi, nessuna. E non solo per il dubbio interesse di
Roberto Fico - considerato a sinistra alla stregua di «un cinquestelle
dal volto umano» - a cimentarsi nell’impresa: ma anche per le distanze
politiche e le legittime resistenze ipotizzabili in casa democratica.
Affidarsi al «fratello gemello» di Luigi Di Maio per riorganizzare
l’opposizione al governo gialloverde? Oppure considerare i cinquestelle -
alla vecchia maniera - una «costola della sinistra» e dunque aprire un
vero canale di confronto con loro? Va bene lavorare all’evoluzione di
certo populismo, ma scegliere uno di loro come rifondatore...
Al
momento è fantapolitica: ma il momento è appunto inedito e in assoluta
evoluzione, e nessuno può davvero prevedere quale sarà la geografia
politica (a destra come a sinistra) di qui alla prossima primavera. Una
cosa, invece, è possibile ipotizzarla fin da ora: gli applausi di
Ravenna non faranno bene a Roberto Fico nel rapporto col suo partito.
Già sospettato da tempo di «eresia», ora è recidivo. Quando Di Maio
pensa a lui, pensa ad un avversario e non ad un fedele amico: cosa - e
il presidente della Camera lo sa - nient’affatto comoda in questi tempi
di «politica social», muscolare e molto spiccia.