martedì 4 settembre 2018

La Stampa 4.9.18
Varoufakis: “L’Italia non è sostenibile
E Salvini alimenta un momento di fascismo”
intervista di Marco Zatterin


«Se fossi una agenzia di rating avrei detto le stesse cose sull’Italia». Yanis Varoufakis rivela l’umore che non ti aspetti, quello che lo allinea a Fitch e le sue sorelle. «Pure io avrei atteso di vedere cosa fanno Salvini e Di Maio prima di dare il voto al Paese», spiega l’economista greco che tre anni fa apparve sulle scene come ministro delle Finanze di Alexis Tsipras. È un invito alla cautela, il suo, «ad attendere che si misurino con le sfide del Fiscal Compact» perché «il quadro italiano non è sostenibile nell’attuale Eurozona». Ce l’ha con le regole Ue, ma anche con la retorica gialloverde per metà condivisibile e per metà distruttiva, soprattutto con Matteo «assai abile a parlare con chi ha perso la speranza», ma uno che si fonda «su xenofobia, chiusura dei confini, e orgoglio nazionale». Il che, avverte, evidenzia «un momento di fascismo» che lo trova «molto preoccupato».
Quando irruppe senza cravatta a Bruxelles il 6 febbraio 2015 provocò parecchie pieghe di apprensione sui volti del consiglio Ecofin. «Un ambiente disperatamente senza immaginazione», ricorda. La stampa lo trattò da rockstar mentre picconava il «Minotauro globale», sinché Tsipras si convinse di aver bisogno un negoziatore più tradizionale. Fine della corsa. Da allora il professore s’è dato alla politica fondando l’aggregazione social-liberista Diem 25 e si è concesso generosamente a decine di platee. Giovedì è a Mantova al «Festivaletteratura» col suo «Adulti nella stanza» (La Nave di Teseo).
Professore, il sottotitolo del suo libro è «La mia battaglia contro l’establishment europeo». Ha vinto o perso?
«Una sconfitta. Avevo un solo obiettivo e l’ho mancato. Mi battevo per la fine dell’insolvenza permanente e la bancarotta della Grecia. Ho fatto il mio meglio. Ho fallito».
Come l’ha presa?
«La storia è fatta di sconfitte importanti. Questa lo è stata».
Giorni fa si è celebrato l’addio di Atene alla «Troika». Lei la pensa diversamente, vero?
«Non siamo usciti dal terzo programma; siamo entrati nel quarto. Sono fatti. È chiaro che il debito non era e non è sostenibile. È scaduto in termini temporali un prestito. È stato sostituito da nuovi pagamenti da affrontare e interessi da pagare. Oltre a ciò, abbiamo stretti vincoli di austerità».
In sintesi?
«È la combinazione fra un debito insostenibile e un’austerità impraticabile. Siamo entrati in una spirale fatale, con un passivo impossibile da gestire e le banche sull’orlo del fallimento. E così le aziende. Alcune pagano il 75% dei loro profitti in tasse mentre nella vicina Bulgaria ne versano un quinto. Veda lei se siamo fuori dal programma, mentre l’Ue annuncia la sua vittoria».
Sorpreso?
«Mi sembrano i romani che dicevano di avere tutto sotto controllo mentre si ritiravano davanti ai visigoti».
Come valuta lo stato di salute dell’Unione europea?
«Siamo in crisi dal 2008 e si sta ripetendo quanto accaduto fra le due guerre mondiali. L’establishment liberale e democratico fa finta di nulla. Il risultato è una frammentazione del continente come ai tempi di Weimar. I soli ad aver capito che occorre uno spirito internazionale sono le banche, straordinarie nell’unirsi, e i fascisti, nuovi o vecchi, come sempre solidali fra loro. Si era già visto con Franco, Hitler e Mussolini. L’ultradestra, i razzisti e gli xenofobi si uniscono sempre magnificamente. Come i banchieri che vogliono essere salvati dai governi. Destra tradizionale, liberali e sinistra sono invece a pezzettini».
E l’Italia, in questo?
«Mi colpisce la gravità delle parole usate dal governo. Salvini alimenta la xenofobia. E’ un “momento fascista”. Parla a un popolo che appartiene a una nazione orgogliosa, più produttiva e forte della Grecia, che esporta in tutto il mondo, che ha in deficit in surplus da vent’anni eppure si ritrova con il potere di acquisto in calo. Promette alle persone “vi farò parte di qualcosa di più grande”. Ma i suoi argomenti sono preoccupanti. C’è chi ha dimenticato che Mussolini inizialmente parlava di protezione sociale e di pensione. Però poi ha eliminato i sindacati e il dialogo politico. E ha fatto una guerra che non aveva mai promesso».
Lei dice che, come Fitch, bisogna vedere cosa faranno.
«Ho studiato a fondo i testi fascisti fra le due guerre. Nel Goebbels degli Anni Venti ci sono pagine anche brillanti. Il modo in cui contesta il capitalismo potrebbe essere il mio. Solo che le conclusioni fanno venire i capelli diritti. E’ una doppia narrativa, una tragedia che stiamo rivivendo».
L’Italia è così?
«Il governo ha molti argomenti validi, la critica delle autostrade privatizzate e l’Europa assente sui migranti. Ma, come Goebbels negli Anni Venti, arriva a tesi incendiarie e misantrope che suggeriscono sgomento e orrore».
Cosa succederà all’Europa dopo il voto di maggio?
«La sola forza politica che cresce sono i nazionalisti internazionalisti. Diem 25 lo ha previsto. Per questo siamo nati. Lo diciamo dal 2016: il socialismo per pochi e il rigore per tutti stanno provocando la disintegrazione dell’Europa e alimentano i nazionalisti. I blocchi democratici liberali sono complici».
E Diem 25?
«Non siamo nati per correre alle elezioni. Ora, però, è inevitabile. Dobbiamo tentare di ridare speranza e creare un “new deal” in cui la gente trovi che un senso per le loro vite».
Il futuro è una catastrofe?
«Non voglio fare il profeta di disgrazie non indulgerò in previsioni. Vedo però che l’economia italiana non è sostenibile nella struttura attuale dell’euro e nessuno ha idea di come l’Italia possa essere pienamente integrata nell’Eurozona. Se uscisse, sarebbe la fine dell’euro. Una calamità che porterebbe una divisione fra Nord e Sud e alla stagnazione. Ovvero il terreno ideale per far crescere il fascismo».
Pessimista?
«No. Mi sento vicino a Gramsci. Ho l’ottimismo della volontà».