venerdì 28 settembre 2018

La Stampa 28.9.18
L’histoire du soldat di Igor Stravinskij
Il Soldato credulone di Stravinskij vende l’anima ai dittatori del ’900
di Sandro Cappelletto


Visto che c’era la guerra, si sono chiesti: «Perché non la facciamo semplice? Perché non scriviamo un’opera che possa fare a meno di una grande sala, che comporti pochi strumenti e due o tre personaggi? Poiché non ci sono più teatri, riprenderemo la tradizione dei teatri ambulanti, da fiera, senza grandi spese». Losanna, 28 settembre 1918, debutta L’histoire du soldat di Igor Stravinskij. La guerra c’era anche in Svizzera: «Era il tempo della pasta di colore blu, il tempo in cui i borghesi, minacciati dalla fame, convertivano in fretta i loro cespugli di begonia in piantagioni di patate», racconta Charles-Ferdinand Ramuz, lo scrittore svizzero che di Stravinskij fu, in quell’occasione, il principale collaboratore.
Facciamola semplice, a cominciare dalla storia: protagonista è un soldato, un proletario che come milioni di altri soldati di allora torna al paese per una licenza di quindici giorni e sogna di riabbracciare fidanzata e mamma. Senza un soldo, stanco per aver troppo marciato, si ferma sulla riva di un ruscello, tira fuori il violino e comincia a suonare: appare un anziano signore con un retino per acchiappare farfalle: «Datemi il violino», dice al soldato. «No», è la risposta. «Vendetemelo». «No». «Scambiatelo con questo libro». «Non so leggere». «Non importa: non c’è bisogno di saper leggere per leggerlo...». Quel signore è il diavolo e, dopo vari parapiglia, il soldato sarà suo: la storia di conclude con la Marcia trionfale del diavolo. Mefistofele vince ancora.
Con Ramuz e Stravinskij, tre sono gli altri protagonisti: il pittore René Auberjonois, che realizza scene e costumi, il direttore d’orchestra Ernest Ansermet che dirige la prima esecuzione, il mecenate Werner Reinhart di Winterthur, dedicatario dell’opera: anche a farla «semplice», la musica comunque costa. Per questa «storia da leggere, recitare e danzare» il compositore russo sceglie soltanto sette strumenti: clarinetto e fagotto, cornetta a pistoni e trombone, violino e contrabbasso (il più acuto e il più grave di ognuna delle grandi famiglie in cui si dividono gli strumenti), più una batteria; poi, un Narratore, due attori per i ruoli del Soldato e del Diavolo, che deve anche ballare, come la Principessa: Stravinskij è stato, con Ciaikovskij, uno dei non molti compositori verso i quali il mondo della danza può esprimere la massima gratitudine.
La Principessa entra in scena nella seconda parte dell’Histoire: è una ragazza malata che il soldato, dopo aver recuperato il proprio violino battendo il diavolo in una partita a carte, riesce prima a guarire suonando, poi a sposare. Potrebbe finalmente essere felice, e ricco, ma sente la nostalgia di casa e decide di tornare al villaggio. Errore fatale: appena varca i confini del regno, incappa nel Diavolo che lo stava tranquillamente aspettando, per non lasciarlo più.
Se ci sono un Diavolo e una Principessa, significa che siamo entrati nel territorio della fiaba: il primo spunto della vicenda proviene da Il soldato disertore e il diavolo e Un soldato libera la principessa, due fiabe raccolte e pubblicate a metà Ottocento da Aleksandr Afanas’ev, studioso del folclore russo. Folclore che già aveva ispirato Stravinskij per il suo trittico fauve, selvaggio: Uccello di fuoco, Petruska, Rito della primavera (Sacre du printemps, nel titolo originale francese). Tre partiture e tre balletti che hanno segnato, nella storia della musica e del gusto medio del pubblico, un prima e un dopo.
Stravinskij attraversava un periodo duro. Aveva lasciato, ben prima della Rivoluzione d’Ottobre, la Russia per Parigi, poi, a causa della guerra, Parigi per la Svizzera; era stato colpito dal lutto per la morte del fratello, caduto sul fronte romeno, e stava affrontando problemi materiali: «A ogni costo dovevo assicurare un’esistenza tollerabile alla mia famiglia. La mia unica consolazione era di vedere che non ero il solo a soffrire a causa degli eventi», ricorda nelle Cronache della mia vita, prima di spiegare la scelta del soggetto della Storia di un soldato: «Sebbene questi racconti abbiano un carattere specificatamente russo per quel che concerne l’ambiente e le situazioni, i sentimenti espressi e la morale che se ne trae hanno un carattere così umano e universale che possono riferirsi a tutti i paesi».
Un carattere universale: Stravinskij, che non possiamo considerare un artista «impegnato», ed è sempre rimasto lontano - tranne che nella sua musica - da ogni pulsione rivoluzionaria, tantomeno bolscevica, coglie nel personaggio del reduce, che ha un passato ma non un futuro, il prototipo dell’uomo povero, disilluso, perdente, pronto a credere alle promesse che da lì a pochissimi anni consentiranno l’ascesa delle dittature nazionaliste e totalitarie. E a dannarsi. Il testo di Ramuz è scandito in una prosa fortemente ritmica, pensata per essere recitata ed esaltata da una musica immediata, elegante, spregiudicata nell’alternare tango, valzer e ragtime a elaborati passaggi in contrappunto, marcette a corali. Contaminazione, per lui, non significava banalizzazione. Il filosofo Theodor Adorno accusava Stravinskij di essere «cinico», di scrivere una musica disumanizzata nella sua oggettività. Nella Storia di un soldato, a ben guardare, vive, oltre la fiaba e la burla, una disperata umanità.