martedì 25 settembre 2018

La Stampa 25.9.18
Ottant’anni fa Monaco
La lezione del vertice che non fermò il nazismo C’è un tempo per la forza
di Gian Enrico Rusconi


Gli accordi di Monaco del 29 e 30 settembre 1938 sono rimasti nella memoria storica come l’esempio più clamoroso e infausto del cedimento delle democrazie alla dittatura hitleriana. Il termine stesso di appeasement (pacificazione, accomodamento, ricerca della pace a tutti i costi) da allora ha cambiato senso diventando sinonimo di codardia e di cecità. Il più accanito ma isolato oppositore di quegli accordi, Winston Churchill, avrebbe detto in Parlamento con brutale preveggenza : «Dovevate scegliere tra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra». Quelle parole erano rivolte al premier inglese Neville Chamberlain, uno dei protagonisti di quella vicenda, immortalato tra l’altro nella celebre fotografia che lo vedeva, appena messo piede in Gran Bretagna, agitare i fogli degli accordi sottoscritti. Per lui erano la prova tangibile che la guerra oscuramente minacciata da Hitler era stata scongiurata e si apriva un’ èra di pace garantita dalle «grandi» potenze europee. Era quello che sperava e attendeva l’opinione pubblica («il popolo» qualcuno direbbe oggi). Tutti i protagonisti sono festeggiati nelle rispettive nazioni: Gran Bretagna, Francia, Italia e persino in Germania .
La nuova mappa
L’oggetto specifico della trattativa a Monaco era la regione dei Sudeti, cioè la regione di confine tra Austria e Germania abitata da tedeschi (3,25 milioni), assegnata con la pace di Versailles al nuovo Stato della Cecoslovacchia, e perentoriamente rivendicata dalla Germania hitleriana. Ma Francia e Gran Bretagna si erano fatte garanti dello status quo - sino al 30 settembre 1938, quando la Cecoslovacchia senza neppure essere consultata è stata costretta a cedere i Sudeti ai tedeschi.
Il nazionalsocialismo era andato al potere con l’esplicita intenzione di liquidare le conseguenze della pace di Versailles, di riconquistare i confini originari del Reich . Le potenze vincitrici della guerra mondiale tardivamente avevano tentato di correggere alcuni errori di Versailles d’intesa con gli ultimi governi della repubblica di Weimar. Ma con il nazionalsocialismo al potere, la situazione era diventata intrattabile.
L’Anschluss
Nel marzo 1938 il Führer era entrato a Vienna tra l’entusiasmo delle piazze austriache, realizzando l’Anschluss, il «ricongiungimento» tanto desiderato dei popoli di lingua e cultura tedesca all’interno di un’unica Grande Germania. (Anche qui, soltanto in un secondo tempo il termine Anschluss avrebbe acquistato il significato negativo e generalizzato di assorbimento coatto e ingiusto di un’altra una entità politica).
Ma l’aspetto più straordinario di queste vicende è che tutti i successi hitleriani erano avvenuti senza manifeste azioni militari : soltanto con la loro minaccia. Hitler era riuscito ad ottenere tutto quello che voleva giocando sulla possibilità credibile di ricorrere alle armi. Era un giocatore d’azzardo, a pieno titolo. È così che si presenta a Monaco, accanto ai leader inglese (Chamberlain), francese (Daladier) e all’alleato italiano (Mussolini). Sin dall’inizio il Führer ha un comportamento singolare. «Hitler, con l’orologio in mano, si baloccava con l’idea di dare l’ordine di mobilitazione. Ma forse non faceva molto sul serio. È certo però che durante l’intera riunione era molto contrariato . Infatti pari tra pari non lo era comunque. Era costretto a trattare. Mussolini lo assecondava molto attento. Chamberlain trattava con i metodi di un uomo d’affari giuridicamente educato, facendo tirare la trattativa fino a mezzanotte, Come ricordo, al Führer è rimasto un amaro sapore».
La rabbia del Führer
Così ha lasciato scritto un attento osservatore presente alla riunione, il segretario di stato tedesco (e vice di Goering) Ernst von Weizsächer. Costui era il tipico nazional-conservatore, fiancheggiatore critico del nazionalsocialismo. Vedeva giusto nel constatare la contrarietà del Führer che doveva accettare un accordo, certamente favorevole nei suoi termini materiali, ma frutto di una contrattazione che limitava la sua sovranità decisionale.
Ma dietro alla sofferta remissività di Hitler ci sono altri fattori : primo fra tutti la resistenza dei vertici militari tedeschi ad intraprendere un’azione di forza che avrebbe portato ad una guerra con gli occidentali, il cui esito poteva essere catastrofico. In realtà i militari si sbagliavano perché nell’estate/ autunno 1938 nessuna delle potenze occidentali era disposta a rischiare una guerra ritenendosi impreparata. Hitler invece proprio a Monaco intuisce la fatale fragilità della posizione occidentale . E ne approfitta: pochi mesi dopo infatti fa entrare le truppe tedesche a Praga, annettendo ciò che resta della Cecoslovacchia nel protettorato della Boemia e della Moravia e creando un regime-fantoccio in Slovacchia. Gli accordi di Monaco sono smentiti, azzerati. Francia e Inghilterra si limitano ad una protesta diplomatica, anche se accelerano il loro riarmo.
La Polonia
Hitler continua nel suo azzardo nel settembre 1939 attaccando la Polonia. I militari lo assecondano, anche se con qualche riluttanza, sino all’ultima sfida decisiva : l’attacco a occidente del maggio 1940. L’incredibile sconfitta della Francia in poche settimane sembra premiare «il genio militare e politico» del Führer. Toccherà a Winston Churchill il compito immane di tenergli testa e fare la guerra non semplicemente per riconquistare l’onore perso a Monaco, ma per salvare il futuro della democrazia in Occidente . La lezione di Monaco non è semplice. Non è quella semplicistica di non trattare mai con i tiranni e i dittatori o viceversa all’opposto di ricercare sempre la pace o l’intesa a qualunque costo. Occorre combinare prudenza e fermezza nelle proprie convinzioni di principio. Non usare la forza come ricatto ma essere pronti a ricorrervi risolutamente, quando è necessario. È l’arte più difficile della politica. È quella che è mancata alle democrazie.