Corriere 25.9.18
Papa Montini deluse Franco
Un saggio di Giovanni Maria Vian (Morcelliana) si sofferma sulla prudenza del Pontefice bresciano
Paolo VI rallentò la beatificazione dei martiri cattolici uccisi in Spagna
La sua figura è stata messa in ombra dal grande rilievo che hanno assunto le personalità di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II
di Paolo Mieli
Giovanni
Battista Montini fu eletto Papa (alla quinta votazione) il 21 giugno
1963 e prese il nome di Paolo VI. Era nato a Concesio (Brescia) nel
1897, figlio di un editore di giornali contraddistintosi per il grande
impegno politico e sociale. Montini era stato (dal 1937) uno stretto
collaboratore di papa Pacelli, ma quando nel 1954 venne nominato
arcivescovo di Milano si mormorò di suoi dissensi con Pio XII. Partecipò
in maniera assai attiva ai lavori del Concilio Vaticano II convocato
dal suo predecessore Giovanni XXIII. Promosse la riappacificazione con
la Chiesa patriarcale di Costantinopoli e la revoca della reciproca
scomunica del 1054. Nel 1964 con un viaggio in Terrasanta aprì la strada
alle missioni dei pontefici fuori dai confini italiani. Si recò anche a
Bombay, Bogotà e nella sede delle Nazioni Unite a New York. Nel 1967
con l’enciclica Populorum progressio sostenne che la pace sarebbe stata
irraggiungibile finché il mondo fosse stato diviso tra poveri e ricchi.
Nel 1968 emanò l’enciclica Humanae vitae, con la quale ribadì la
dottrina della Chiesa sulla regolazione delle nascite. Ampliò il
collegio cardinalizio ed escluse dal diritto di essere eletti Papa i
cardinali ultraottantenni. Avviò una politica di distensione con il
mondo comunista. Nel 1978, alla viglia della morte, si prodigò per
salvare Aldo Moro «dal carcere delle Brigate rosse». Questo, in sintesi,
il suo profilo storico. Ma — ovviamente — Paolo VI fu molto, molto di
più.
Adesso, in occasione della sua santificazione, lo storico
Giovanni Maria Vian (che è anche direttore dell’«Osservatore Romano») si
accinge a pubblicare, per i tipi di Morcelliana, un libro, Montini e la
santità, in cui lo definisce addirittura «un Papa dimenticato».
Dimenticato, secondo Vian, «per l’incomprensione sofferta durante i
difficili ma decisivi quindici anni del suo pontificato (1963-1978)» e
soprattutto «per la rapida eclissi». Eclissi che si spiega con il
difficile confronto tra Paolo VI, il suo predecessore Giovanni XXIII e
il successore (suo e di Albino Luciani) Giovanni Paolo II: due papi
popolarissimi.
Da una parte, quello tra lui e Angelo Roncalli fu
un confronto quasi insostenibile, «per la forza dell’immagine
rappresentata dal “Papa buono” dopo il ventennio pacelliano»;
dall’altra, la comparazione con Karol Wojtyla fu ugualmente molto
problematica, per la durata del lunghissimo regno e per la «personalità
planetaria del primo Pontefice non italiano da oltre quattro secoli e
mezzo». Vian ricorda, ad ogni buon conto, che era stato papa Roncalli a
indicare, se non proprio a designare, Montini come suo possibile
successore. E, quanto alla decisione di prendere un doppio nome,
Giovanni Paolo, lo stesso Vian mette in risalto come Luciani prima e
Wojtyla poi vollero sottolineare con quella scelta «un tentativo di
composizione ideale tra i due Pontefici del Concilio». Non solo Giovanni
XXIII ma anche — e qui sta la sottolineatura — Paolo VI. Fu poi Wojtyla
ad avviare nel 1993 la causa di canonizzazione di Paolo VI, sollevando
«decisamente il velo dell’oblio» che fino a quel momento aveva avvolto
Montini. Infine papa Francesco fece un esplicito riferimento a Montini
nel corso di una delle ultime riunioni precedenti il conclave in cui
sarebbe stato eletto, lo ha beatificato nel 2014 e oggi non fa mistero
di considerare Paolo VI come il predecessore a cui «più si ispira». Un
intreccio che colloca il Papa bresciano al centro di una tra le fasi più
complesse della storia della Chiesa.
Di particolare interesse
sono le considerazioni di Vian su Montini e il suo modo di intendere il
culto di Maria. Montini non fu un «mariologo». Ma, prima di diventare
Papa, quando era arcivescovo di Milano, si dedicò a una serie di
riflessioni — pubblicate poi, a cura di René Laurentin, in Sulla
Madonna. Discorsi e scritti (1955-1963), edito nei Quaderni
dell’Istituto Paolo VI — sulla madre di Gesù Cristo. La grande
preoccupazione di Montini, scrive Laurentin, fu di «situare Maria al suo
posto autentico nella vita della Chiesa, senza eccessi o negligenze,
senza enfasi o minimizzazioni». Montini non volle far suo, prosegue
Laurentin, «il trionfalismo del movimento mariano all’ultima moda».
Che
genere di moda? Secondo Laurentin (e Vian concorda con lui) negli anni
Cinquanta «la mariologia o il fervore mariano non furono privi di
eccessi o di esagerazioni». Fu perciò salutare che Montini si
preoccupasse di «ritornare alle origini, di ristabilire l’equilibrio»
del culto mariano. In un discorso del 16 maggio 1961 l’allora
arcivescovo di Milano denunciò esplicitamente questo genere di eccessi:
«Alcune volte la fantasia associa alla Madonna dei titoli che non
sarebbero molto convenienti; in bassa Italia ho trovato persino una
Madonna … delle galline!», denunciò. Talvolta la nostra pietà si fa
«interessata», proseguì Montini; diventiamo «devoti della Madonna quando
v’è un esame da sostenere, o abbiamo mal di testa, o una malattia o
un’operazione da superare, e così via; allora è la Madonna dei miracoli,
la Madonna delle grazie». Questo «è bello, ma è un po’ una devozione
che… tira giù la Madonna». I nostri bisogni, proseguiva Montini,
«soverchiano l’amore e la dedizione che dobbiamo a Maria Santissima». In
questo modo quello della fede diventerebbe nient’altro che «un mutuo
soccorso, un’associazione contro le disgrazie».
Importante fu
anche, secondo Vian, l’intervento di Paolo VI in materia di
proclamazioni di santi e beati. Chi conosce la complessità e il rigore
dei processi che precedono beatificazioni e canonizzazioni, sa bene —
disse Montini — che la Chiesa è «cauta ed esigente» nel pretendere le
prove delle virtù in grado «eroico». Un raggiungimento delle prove
«superlativo, eminente, comprovato da inconfutabili testimonianze,
analizzato con rigore critico e con metodo obiettivamente storico, anzi
convalidato da due verifiche, una negativa, quella così detta del “non
culto”, la quale assicura i giudici del processo non esservi l’influsso
di qualche eventuale mistificazione popolare; l’altra, quella positiva
dei miracoli, quasi come attestato trascendente d’un divino beneplacito
all’eccezionale riconoscimento della santità che la Chiesa intende
venerare nei singoli e singolari candidati agli onori degli altari». Al
riparo da «considerazioni politiche».
Molto «significativo», in
rapporto a ciò, appare «il blocco imposto alle cause dei martiri della
guerra di Spagna (circa settemila tra sacerdoti, religiosi, suore e
seminaristi, mentre mancano statistiche per i laici)». Alla fine degli
anni Cinquanta, ricorda Vian, cominciarono a giungere a Roma i processi
informativi, ma subito dopo l’elezione di Paolo VI vennero impartite
alla congregazione disposizioni, «non rese note», che di fatto sospesero
l’iter delle cause.
Lo storico Justo Fernandez Alonso ha scritto
che all’origine della decisione, sicuramente riconducibile a Paolo VI,
ci furono «motivi di opportunità, tra cui la convenienza di lasciar
passare un prudenziale lasso di tempo». Un lasso di tempo «che
permettesse di contemplare con più obbiettività gli avvenimenti della
Spagna all’epoca della persecuzione». Furono questi i motivi che, scrive
Alonso, «consigliarono di rallentare il corso di quei processi». Tale
decisione spiacque a ogni evidenza al dittatore Francisco Franco, il
quale da quelle beatificazioni e canonizzazioni avrebbe tratto
legittimazione per il proprio regime. Tutto ciò ebbe grande importanza,
prosegue Vian: la volontà di non riaprire polemiche, e di evitare
strumentalizzazioni politiche da parte franchista, spiega la decisione
di Paolo VI. A inquadrare la cui ostilità a Franco va aggiunto che,
quando era ancora arcivescovo di Milano, Montini si era visto rifiutare
dal capo dello Stato spagnolo una pubblica domanda di clemenza per un
giovane oppositore minacciato di condanna a morte.
Emerge, nelle
pagine di Vian, la volontà da parte di Montini di trovare costantemente
un equilibrio nella mediazione tra tendenze diverse nella storia della
Chiesa, la sua convinzione della necessità di sottolineare più gli
elementi di continuità che quelli di discontinuità tra i pontificati di
Pio XII e di Giovanni XXIII. E infine la sua intenzione di rispettare le
procedure senza strappi eccessivi o inutili. Va anche sottolineata la
vicenda personale di Montini: «per un quindicennio tra i primi
collaboratori di Pio XII» e, dopo l’«allontanamento a Milano» (dove
entrò come arcivescovo il 6 gennaio 1955), nominato cardinale da
Giovanni XXIII al suo primo concistoro nel 1958, fu certamente legato
alla memoria di entrambi i suoi predecessori.
Nell’elenco dei
successori di Pietro da molti secoli, ricorda Vian, sono
tradizionalmente considerati santi, «e per di più martiri», tutti i
vescovi di Roma fino alla cosiddetta pace costantiniana. Poi santi quasi
tutti quelli fino all’età di Gregorio Magno, «e si tratta evidentemente
di una sorta di idealizzazione agiografica fondata sulla mitizzazione
delle origini». Appare quasi come «qualcosa di scontato» che tutti quei
Papi fossero considerati santi. Del resto in pieno Medioevo Gregorio VII
sostenne che «il romano Pontefice, se sia stato ordinato canonicamente,
per i meriti del beato Pietro senza dubbio diviene santo».
Poi, a
poco a poco, la santità papale di fatto scomparve per riapparire «non a
caso» dopo la perdita del potere temporale nel 1870 («e in un
trasparente tentativo di compensarla») con il riconoscimento formale del
culto di alcuni Pontefici medievali da parte di Pio IX e soprattutto di
Leone XIII. Ma il vero rilancio si colloca alcuni decenni più tardi,
quando Pio XII tra il 1951 e il 1954 beatifica e canonizza Pio X e nel
1956 proclama poi beato Innocenzo XI. Nel 1954 papa Pacelli introduce la
causa di Pio IX che peraltro proprio Roncalli avrebbe voluto
beatificare. Ma per questa beatificazione si dovrà attendere l’anno 2000
allorché essa verrà appaiata a quella di Giovanni XXIII.
«Complesso»
è giudicato da Vian il rapporto di Paolo VI con Eugenio Pacelli e
Angelo Roncalli. Aveva incontrato il secondo nel 1925 e il primo nel
1930. Li conobbe «da vicino» ma — eletto, nel 1963, loro successore —
negli anni finali del Vaticano II Paolo VI, per fermare la proposta di
canonizzare in Concilio Giovanni XXIII (in evidente contrapposizione a
Pio XII), dispose l’avvio delle cause di beatificazione di entrambi i
Papi «per via normale». Questo per evitare — sono parole dello stesso
Montini — «che alcun altro motivo, che non sia il culto della vera
santità e cioè la gloria di Dio e l’edificazione della sua Chiesa,
ricomponga le loro autentiche e care figure per la nostra venerazione».
Alla
proposta della «sinistra» conciliare di arrivare a una proclamazione di
santità di Giovanni XXIII da parte del concilio stesso appena due anni
dopo la morte di Roncalli («proposta interpretata generalmente come
canonizzazione della tendenza progressista degli stessi proponenti, una
sorta di implicita contrapposizione tra quinquennio giovanneo e
ventennio pacelliano e alla stregua di un superamento della prassi
ordinaria delle cause», precisa Vian) Paolo VI reagì con l’annuncio
dell’introduzione, secondo la prassi consueta, di entrambe le cause,
quella di Pio XII e quella di Giovanni XXIII. In seguito quella di Pio
XII — contestato per non aver preso sufficientemente le distanze dal
regime hitleriano — si arenerà e, al momento della beatificazione di
Roncalli, il nome di Giovanni XXIII sarà, come si è detto, «bilanciato»
da quello del Papa ostile al Risorgimento, Pio IX.
Quanto a
Wojtyla verrà canonizzato nel 2014 — assieme a Papa Roncalli — poco
tempo dopo la sua morte, dal successore Benedetto XVI. Ma è con Paolo VI
che «un cristiano divenuto Papa viene proclamato santo assieme ad altre
figure esemplari». Ed è la prima volta.