La Stampa 24.9.18
L’Austria di Kurz riscrive il Risorgimento
“Cavour e Mazzini oppressori nazionalisti”
di Rita Monaldi Francesco Sorti
Il
Risorgimento? Una guerra di aggressione. Cavour voleva unire l’Italia?
No, dividere l’Austria. Mazzini e Garibaldi? Nazionalisti di estrema
destra. E il Kaiser? Buono e globalista.
Sebastian Kurz ha da poco
rinnovato ai nostri connazionali altoatesini l’offerta della
nazionalità austriaca, con gran stizza della Farnesina. Il timing però
non è ottimale: a settembre ricominciano le scuole, ed è naturale
chiedersi che immagine abbiano gli austriaci dell’Italia, visti i
precedenti a dir poco turbolenti. E qui vengono le sorprese.
Perché
un’indagine nei libri scolastici della repubblica alpina fa intravedere
nella mossa di Kurz, anziché la gioia di un nuovo amico, il ran
core di un vecchio padrone.
Cominciamo
con qualche assaggio. In Netzwerk Geschichte («Rete Storia» per le
scuole medie, edizioni Lemberger) nel capitolo sul Risorgimento italiano
vengono particolarmente evidenziate le date più tarde: la proclamazione
dell’unità del 1861, la breccia di Porta Pia del 1870, la morte di
Garibaldi nel 1882, addirittura i Patti lateranensi del 1929. Dei 30
anni di moti d‘indipendenza contro il sanguinario sfruttamento austriaco
non c’è traccia. Ecco invece la domanda retorica e insinuante degli
autori: «Austria, Francia e Gran Bretagna possono vantare una lunga
storia. Da quando esiste lo Stato italiano?».
In Geschichte live
(editore Veritas, scuole medie) dopo abbondanti descrizioni delle virtù
del Kaiser Francesco Giuseppe, si ammette che «dopo il 1848 l’imperatore
e il suo governatore generale (il sanguinario maresciallo Radetzky,
ndr) erano gli uomini più odiati in Italia del nord», ma solo perché
«agli occhi degli Italiani erano loro due ad aver fatto fallire le
aspirazioni dell’Italia all‘unità e alla libertà». Il dominio austriaco
era insomma una sensazione soggettiva, valida solo «agli occhi degli
Italiani».
In VG3 Neu (per la scuola media, ancora Lemberger
editore) il capitolo sul Risorgimento si apre con un’abile premessa:
«Nel XIX secolo, ambiziosi uomini di Stato capirono che l’idea nazionale
si adattava in modo eccellente al raggiungimento dei loro personali
obiettivi politici. Volevano espandere i loro Stati a costo degli altri,
e allo scopo utilizzarono come giustificazione l’idea nazionale. In
molte parti del mondo ancora oggi si fa politica in modo simile».
Cavour,
Garibaldi e Mazzini diventano così un piccolo club di ambiziosi, e
l’unificazione d’Italia una guerra di aggressione. Proseguono gli
autori: «Il Piemonte nella seconda metà del XIX secolo si sviluppò in un
moderno ed efficiente Stato-modello. Appoggiò l’idea di una divisione
dell’Austria». Insomma, Cavour voleva dividere l’impero asburgico,
anziché unificare l’Italia... «Con un’abile politica estera, il regno di
Piemonte-Sardegna si guadagnò l’alleanza di Francia, Gran Bretagna e
Prussia. L’Austria invece era isolata (…). Quando nonostante ciò rischiò
e scese in guerra, le truppe alleate di Francia e Piemone-Sardegna
sconfissero l’esercito austriaco, male organizzato, a Magenta e
Solferino».
Un resoconto che fa a pugni con i fatti storici: a
Magenta e Solferino si combattè perché l’Austria aveva imposto ai
piemontesi, assai inferiori militarmente ma alleati alla Francia, di
disarmarsi entro tre giorni. L‘ultimatum non venne rispettato e gli
austriaci attaccarono. A Solferino gli eserciti contrapposti erano
pressoché equivalenti, gli Austriaci anzi avevano un’artiglieria più
consistente, ma la conduzione tattica dei francesi fu vittoriosa.
Alla
pagina successiva di VG3 Neu c`è una carta d’Italia in bianco da
colorare con tonalità diverse, corrispondenti ad altrettanti momenti
dell‘unificazione: 1859, 1860, 1866 e 1870. Benissimo, ma accanto spunta
una noticina: «A proposito, in cambio del suo appoggio la Francia
ricevette dalla Sardegna i possedimenti di Nizza e Savoia. Insomma, ogni
cosa aveva il suo prezzo…». Dietro a tutto, insomma, c’era solo un
mercato delle vacche. Perfino se fosse vero, il libro scolastico
dovrebbe argomentare, e non fare allusioni maligne. Soprattutto se è
scritto dai perdenti…
Anche Geschichte schreiben («Scrivere la
Storia», edizioni Dorner) suggerisce che «l’idea nazionale venne usata
da alcuni politici per realizzare obiettivi di potere. Il nazionalismo
servì loro come giustificazione per ingrandire i loro stati». Il tema
torna però ancora più ampiamente nel testo di storia per le medie
Bausteine («Pietre per costruire»), dove si raggiunge l’apice (o il
fondo) dell‘inchiesta. E non solo per il contenuto, ma anche perché
Bausteine è targato Öbv, la casa editrice di Stato. Il capitolo sul
nostro Risorgimento è intitolato «Il nazionalismo» e inizia con una
premessa filomonarchica: «Dopo il congresso di Vienna venne ristabilito
il vecchio ordine. I prìncipi regnanti restarono ancorati ai loro
diritti ereditari. I popoli erano in maggioranza solidali con i loro
governanti». Poi però il presunto idillio si guasta: «Gradatamente in
Europa si fece strada l’idea che in uno Stato potessero convivere solo
persone con il medesimo passato storico, la medesima lingua e la stessa
cultura. Coloro che non rientravano in questo disegno non avrebbero
goduto di pari dignità». Insomma, gli austriaci dominatori in Italia
sono descritti come una minoranza etnica. E ancora: «Questa idea si
chiamava nazionalismo. In alcuni paesi, come l’Italia o la Germania di
oggi, le genti che avevano quei fattori in comune vivevano in tanti
piccoli stati divisi tra loro. In altre zone geografiche, come per
esempio nell’impero asburgico, vivevano insieme popoli con culture e
lingue differenti. Molti nazionalisti erano pronti ad usare anche la
violenza per realizzare il desiderio di avere un loro Stato e una
propria nazione».
Poco importa quindi che l’impero asburgico per
primo usasse la violenza per tenere insieme, e spremere economicamente,
tutti quei «popoli con culture differenti». Chi, come il grande
scrittore austriaco Karl Kraus, osò denunciarlo («questa pretesa di
affliggere il mondo con la nostra follia omicida nazionale») è tutt’oggi
ben poco amato nella repubblica alpina.
Alla pagina seguente di
Bausteine campeggia una foto. Una schiera di manifestanti, tutti giovani
maschi vestiti di nero come i black blocks, regge uno striscione:
Nazionalismo al posto della globalizzazione. Didascalia: «Il
nazionalismo oggi in molti Paesi - Manifestazione di estrema destra in
Germania, 1° maggio 2008». Poi la spiegazione: «I nazionalisti mettono
in evidenza le particolari facoltà e i risultati raggiunti dalla loro
nazione. Allo stesso tempo danno meno valore alla cultura, al modo di
vivere e alla religione delle persone di altre nazioni. Nel loro paese
le minoranze vengono disprezzate o perfino minacciate. Rappresentanti di
partiti nazionali (sic) spesso hanno atteggiamenti molto aggressivi».
L’equazione
è assurda ma chiarissima: voler unificare un popolo omogeneo è un atto
facinoroso. Preferire la propria lingua e cultura è nazionalismo. Amare
la patria è violenza. Gli italiani del Risorgimento sono estremisti di
destra. Il Kaiser è buono e globalista.
«I funzionari del Kaiser
rinsaldavano il suo dominio con una amministrazione corretta e unitaria
(…). L’imperatore vedeva se stesso come il signore di tutti i suoi
popoli. Voleva accrescere il prestigio dello Stato nella sua interezza.
Per questo le pretese delle singole nazioni vennero represse». Così
sentenzia il diffusissimo Bausteine, stampato con denaro pubblico e
distribuito gratis (in Austria i libri scolastici non si pagano).
È
dunque per «accrescere il prestigio dello Stato» che Francesco Giuseppe
– lo ricorda Karl Kraus – consegnò alle nostre donne di Mantova, che lo
imploravano di sospendere l’esecuzione dei loro mariti e figli, la nota
spese del boia? Ah, indimenticabile Silvio Pellico! «Austriaci, enigma
della razza umana…». Un capolavoro scolpito nell’eternità, Le mie
prigioni, che il giovine Kurz dovrebbe (ri)leggere, e meditare gli anni
da incubo passati da Pellico nella fortezza dello Spielberg. E poi far
limare alla sua ÖBV quei libri di testo che puzzano del cuoio degli
stivali di Radetzky. Altrimenti vincerà la battuta di Karl Kraus:
l’unico articolo da export austriaco è la corda del boia.