La Stampa 23.9.18
Rainer Langhans
Co-fondatore di Kommune 1
”Così combatto l’eterno fascismo della Germania”
colloquio con Alain Elkann
Rainer
Langhans è uno scrittore e cineasta cresciuto nella Germania del
dopoguerra, co-fondatore di Kommune 1, la prima comune creata a Berlino
Ovest il 1° gennaio 1967 e sciolta nel 1969, un modello alternativo al
nucleo familiare della classe media costituita da fascisti potenziali o
nascosti.
Come si definirebbe?
«In termini clinici ho una
lieve sindrome di Asperger. Fin dall’inizio non sono stato in grado di
adattarmi alla famiglia e alla società. Ero un alieno, diverso dai miei
fratelli e dagli altri bambini, così si sono sbarazzati di me mandandomi
in collegio a 13 anni. Mio padre era medico, doveva essere iscritto al
partito nazista per motivi professionali, ma non gli piaceva. I miei
pensavano che Hitler fosse un proletario e aspettavano che cadesse».
Siete di Peenemünde, in Germania Est. Come affrontò suo padre la transizione dal nazismo al comunismo?
«Non
benissimo. Avevamo un ufficiale russo in casa. I miei tolsero il
ritratto di Hitler dall’ingresso e lo sostituirono con uno di Stalin.
Non avevamo niente da mangiare, ma i russi erano gentili con i bambini e
ci davano della zuppa, così sopravvivevamo. Il bambini godevano di
maggiori privilegi rispetto agli adulti perché secondo il regime erano
loro a costruire il socialismo».
Quando passaste a Ovest?
«Nel
1953. I miei ci dissero che stavamo andando in vacanza a Berlino;
allora era possibile perché non c’era ancora il confine. Poi ci siamo
trasferiti ancora. Sono passato da un tipo di scuola all’altro, in base
alle diverse zone occupate. Se gli occupanti erano inglesi, c’era il
sistema britannico, se erano francesi, quello francese. Così sono
diventato ingestibile e mi hanno messo in un collegio, poi mi sono
arruolato nell’esercito. Ho cercato di diventare tenente, ma non ce l’ho
fatta per via del mio comportamento anomalo».
Dopo l’esercito è andato a Berlino?
«Sì,
ero passato dalla religione del collegio al’assenza di spiritualità
dell’esercito, ero insoddisfatto e cercavo un modo diverso di vivere.
Cercai di avvicinarmi al mondo della cultura, ma non era il mio
ambiente. Alla fine trovai un piccolo gruppo di accademici, professori
della Libera Università di Berlino, che seguivano la Scuola di
Francoforte: Theodor Adorno e Max Horkheimer, Walter Benjamin, Herbert
Marcuse. In seguito, quando visitò la Germania, ho conosciuto Marcuse.
Abbiamo identificato e dato un nome alla personalità di tipo
autoritario, e questo è diventato il centro dell’ideologia antifascista
che poi ha usato il movimento studentesco».
Così la sua coscienza si è aperta alla lotta antifascista. Era inorridito dal nazismo?
«Sì,
ma è più di questo. Fin da bambini sapevamo che i vecchi nazisti erano
ovunque nel governo, mascherati da democratici, e temevamo che avrebbero
imposto un nuovo fascismo. Il regime paternalistico di Adenauer e della
Cdu non era una democrazia. Abbiamo cercato di mostrare cosa c’era
dietro la maschera, informando le persone su ciò che stava realmente
accadendo. Il gruppo Kommune 1 è nato il 1° gennaio 1967. Era una prova:
vivere in otto in una piccola stanza, insieme giorno e notte, e nessuno
poteva uscire. Analizzavamo ciò che accadeva dentro di noi e ci
raccontavamo l’eredità fascista dei nostri genitori assassini. Volevamo
scoprire la nostra vera e amorevole natura umana».
Come mai ha esposto così pubblicamente la sua vita?
«Nella
comune non c’era sesso, non c’era nessuna relazione tra uomini e donne.
Eravamo solo esseri umani, ci amavamo e sapevamo tutto l’uno
dell’altro. Non avevamo privacy e nessuno possedeva alcunché,
condividevamo tutto, stavamo rivoluzionando la nostra vita quotidiana.
Speravamo che tutti avrebbero iniziato a vivere nelle comuni. Ma non fu
così e finimmo per rifugiarci in una sottocultura. Quando hai vissuto a
lungo in paradiso, non puoi più vivere all’inferno. C’erano due soli
esiti possibili. Uno era la rivoluzione politica; l’altro era sesso,
droga e rock and roll. Abbiamo scelto il cosiddetto edonismo, una sorta
di rivoluzione sessuale con droghe psichedeliche».
Altri hanno scelto la via della violenza, come Andreas Baader e Ulrike Meinhof.
«Non
mi piaceva la violenza, perché avevo appreso nell’esercito che non è
una modalità accettabile. Non volevo entrare in conflitto con i miei
genitori e quindi fui considerato un traditore e cacciato dal movimento.
A 29 anni mi sono ammalato seriamente. Quando stavo per morire, ho
trovato un libro intitolato The Path of the Masters di Julian Johnson,
che raccontava le sue esperienze con un maestro indiano vivente. Grazie a
quel libro ho finalmente capito cosa avevamo vissuto nel ’68: la
spiritualità. Ho incontrato il mio maestro e sono stato iniziato. Mi ha
insegnato un modo pragmatico per entrare in quella sensazione del ’68».
Cosa ha fatto allora?
«Dopo
la mia iniziazione ho vissuto in modo molto semplice. Il mio maestro
aveva un motto: “Vita semplice e pensiero elevato”. Ho cercato di
guardare dentro me stesso attraverso la meditazione, per superare il
materialismo ed entrando in contatto con il mondo interiore. Vivevo
facendo lavoretti per pochi soldi e affittando piccole stanze
inutilizzate. Sopravvivevo e soprattutto meditavo. Ora c’è Internet, che
è stato inventato da persone che hanno avuto esperienza del ’68, e che
consente alle persone di vivere in comunità al di là del materialismo e
oltre i loro corpi. Nel ’68 abbiamo visto che il capitalismo non è buono
ed è possibile diventare umani. Ora dopo 50 anni lo vediamo di nuovo e
lo vediamo soprattutto in rete. Un nuovo vero mondo umano è possibile. È
dentro di noi. Nella mia analisi significa basta con il capitalismo;
pace e amore; un altro mondo. Il capitalismo è l’ultima e più grave
manifestazione del fascismo».
Com’è la Germania di oggi?
«Ha
imparato molto dal suo passato nazista. Non abbastanza, ma più di
altri. Sono stati assimilati i principi del ’68: non dovrebbero esserci
più fascismi, né guerra. C’è una pace ignota al mondo materialistico e
capitalistico, in cui tuttavia viviamo. Grazie a Internet saremo sempre
più consapevoli di questo mondo reale dentro di noi, ma temiamo talmente
tanto la coscienza che vediamo Internet come l’anticamera del fascismo.
Supereremo anche questo».
Traduzione di Carla Reschia