Corriere 23.9.18
L’appello
Liberate quei bambini incarcerati con le mamme
di Luigi Manconi
Caro
direttore, il prossimo 4 ottobre, come ha scritto Giovanni Bianconi sul
Corriere della Sera di giovedì 20 settembre, i giudici della Corte
costituzionale inizieranno il loro «viaggio nelle carceri italiane». È
una iniziativa assai importante. Nella sezione nido del carcere
femminile di Rebibbia, pochi giorni fa, una detenuta ha ucciso i propri
figli neonati gettandoli nella tromba delle scale. Credo che sarebbe un
atto estremamente significativo, denso di intensità morale e, allo
stesso tempo, di valore giuridico, se la prima persona che il presidente
della Consulta, Giorgio Lattanzi, incontrasse fosse proprio quella
donna omicida, per ascoltarne la pena e la follia, lo strazio e la
solitudine senza scampo. E per capire, soprattutto, come sia possibile
che all’interno di quell’istituto penitenziario continuino ad essere
detenuti 14 bambini.
Come è noto, in carcere, si trovano colpevoli
e innocenti. E ogni colpevole rivendica per sé, non sempre
immotivatamente, una quota di innocenza. Mentre gli innocenti possono
rimproverare a un errore giudiziario o a un destino nemico o a una
qualche propria leggerezza la condanna iniqua. Ma c’è una categoria –
tanto esile da risultare invisibile, come appunto è – costituita dagli
assolutamente innocenti. Gli innocenti assoluti, detenuti con le loro
madri all’interno del sistema penitenziario italiano, sono oggi 62. Nel
1991 erano 61. Nei tre decenni trascorsi da allora, quattro presidenti
della Repubblica hanno avuto parole accorate e ferme nel criticare
questo scempio di vita, più di un ministro della Giustizia ha tentato di
trovare una soluzione, alcune commissioni parlamentari hanno affrontato
il problema. Il risultato è che il numero degli innocenti assoluti in
carcere, dopo aver conosciuto alcune oscillazioni, oggi è maggiore di
quanto fosse nel 1991.
All’epoca, visitai il nido di Rebibbia,
dove la sconsolata buona volontà di tanti (le madri, in primo luogo, e i
volontari, il personale e gli assistenti sociali) tentava di dare a
quel luogo fatalmente squallido e ostile una qualche parvenza di
ospitalità e di allegria, attraverso il ricorso a colori, disegni,
giocattoli. Restava, tuttavia, un elemento a ricordare l’atrocità di
quella situazione: gli angoli delle brande di ferro dove madri e figli
dormivano erano malamente coperti da indumenti e stracci per smussarne
le punte e attenuarne gli spigoli. Quel nido, nel frattempo, è stato
ristrutturato e oggi ha un aspetto diverso. E altre cose sono cambiate.
Già la legge 40/2001 ha introdotto nell’ordinamento penitenziario nuovi
tipi di misure alternative per donne madri, nonché modalità di
assistenza all’esterno dei figli minori. Le alternative al carcere per i
bambini fino a sei anni (non più tre anni, da gennaio 2014) oggi
sarebbero il trasferimento negli istituti a custodia attenuata (Icam) e
nelle case famiglia protette. I primi sono istituti detentivi facenti
capo all’amministrazione penitenziaria e ne esistono attualmente cinque.
Le seconde, previste da una legge del 2011, dovrebbero essere strutture
promosse insieme agli enti locali, ma finora ne è stata realizzata solo
una a Roma, per 6 posti. Dunque, la possibilità di liberare dal carcere
la grande maggioranza di quei 62 bambini tutt’ora reclusi è già
contenuta nel nostro ordinamento. Se ciò non accade si deve in parte, ma
solo in parte, alla rigidità di alcune norme e ai vincoli derivanti
dalla particolare condizione di alcune detenute che, in ragione della
recidiva o a causa della gravità del reato, richiede un controllo più
stretto e assiduo. Ma si deve, soprattutto, a quella catastrofica
impotenza riformatrice che è propria dell’intera classe politica
nazionale e locale del nostro Paese. Come si è detto, le leggi ci sono,
la loro attuazione richiede intelligenza di governo e pazienza
amministrativa e costi relativamente modesti. La spesa complessiva per
far uscire dal carcere quei minori e alloggiarli in case famiglia
protette, che garantiscano la loro tutela e la sicurezza pubblica, è
stata stimata intorno al milione di euro all’anno.
Una volta si
sarebbe detto: come è possibile che questo accada nel Paese di Cesare
Beccaria? Oggi, dopo che abbiamo visto a quali e quante ingiurie è stato
sottoposto il pensiero del grande illuminista lombardo, ci accade di
sorprenderci un po’ meno. Ma confidiamo che la Corte costituzionale,
guidata da quell’uomo d’onore che è Giorgio Lattanzi, sappia trovare
l’occasione e le parole per dire al legislatore e alla magistratura che
una simile ingiustizia assoluta ai danni degli innocenti assoluti non è
più tollerabile.