La Stampa 23.9.18
Sovranismo, rosari e santini
Il nuovo cattolicesimo esibito
di Flavia Perina
Qualcuno
ci scherza e su Google nasce il gruppo «Aridatece Andreotti», che
inneggia alla sobrietà religiosa dei democristiani – gente che andava in
chiesa quasi di nascosto, alle cinque di mattina – per contrapporla al
cattolicesimo esibito dei leader del sovranismo italiano e specialmente
di Giuseppe Conte, che oggi concluderà la sua tre giorni a San Giovanni
Rotondo per le celebrazioni dei cinquant’anni dalla morte di Padre Pio.
Un pellegrinaggio devozionale, per di più in pieno dibattito sulla
manovra, rappresenta una novità assoluta. Ed è senza precedenti anche il
siparietto con Bruno Vespa, quando Conte ha estratto dal taschino la
medaglietta del santo che si porta dietro, come peraltro molte migliaia
di italiani, per mostrarla in favore di telecamera.
È osservanza,
sono radici culturali e famigliari (uno zio frate del presidente del
consiglio si occupa di accoglienza al santuario) e però l’episodio si
accompagna ad altri due clamorosi inediti: il bacio di Luigi Di Maio
alla teca col sangue di San Gennaro nel Duomo di Napoli impazzito per il
miracolo; il rosario tirato fuori da Matteo Salvini sui palchi
comiziali di Milano e poi a Pontida. Un premier e due potentissimi
vicepremier che sbandierano il loro attaccamento al culto sono una
stranezza che stupisce i politici cristiani di vecchio conio come Marco
Follini: nel nostro Paese, scrive sull’Huffpost, i cattolici «hanno
sempre avuto una certa remora nel rendere evidente il nesso tra scelte
di governo e i loro intimi sentimenti religiosi».
In realtà lo
stile delle messe antelucane e della preghiera discreta finì già negli
Anni Novanta. Per tutta la Seconda Repubblica, il ventennio Teocon, la
religione è stata utilizzata dalla politica come una spada, ma era una
spada lucida, affilata con il rigore teologico dei discorsi di Papa
Ratzinger e impugnata non tanto dai cattolici quanto dagli atei devoti,
da Giuliano Ferrara a Marcello Pera. Insomma, una complessa costruzione a
uso delle élite, tanto che successe un putiferio quando il popolo
tradusse a modo suo l’atto culminante di quella stagione, la Lectio
Magistralis di Ratisbona, e decise che il Papa chiamava alla guerra
santa contro l’Islam (la Curia impiegò mesi a ricucire i rapporti coi
Paesi musulmani).
Il catto-pop ostentato della Terza Repubblica -
Padre Pio, San Gennaro, il rosario - è un’altra cosa. Più Don Camillo
che San Tommaso D’Aquino, più Frate Indovino che Vittorio Messori. È
l’affidarsi al patrono, all’umiltà dell’Ave Maria. È Massimo Troisi che
chiede il terno secco, il dialogo con la Madonna di Filomena Marturano,
Don Matteo in bicicletta, al limite Lech Walesa che arringa gli operai
con il santino della Madonna Nera cucito sulla giacca. È, insomma,
identità popolare e sentimenti ancestrali, ed è evidente che esibire
questo tipo di suggestione serve anche alla competizione con
l’arcinemico dei sovranisti italiani, il capo dei buonisti, degli
immigrazionisti, dei terzomondisti, insomma Bergoglio, il Papa argentino
che invita alla tolleranza e all’accoglienza degli ultimi e risulta
assai pericoloso proprio perché anche lui pop, popolare, forse
populista.