Corriere 23.9.18
il progetto dei sovranisti e l’opposizione spiazzata
di Francesco Verderami
Nel
’94 i partiti della Prima Repubblica ritennero la vittoria elettorale
di Berlusconi una parentesi che si sarebbe presto chiusa. Invece fu il
preludio a un cambio di sistema. Allo stesso modo oggi le forze che sono
state protagoniste della Seconda Repubblica scommettono su una breve
durata del governo nato dal «contratto» tra M5S e Lega, come a voler
respingere la tesi di un nuovo regime-change. Eppure la situazione
sembra riprodurre lo scenario di ventotto anni fa, con l’aggiunta di
altri due fattori: il primo è che stavolta — rispetto al ’94 — entrambi i
blocchi politici sono stati travolti dal voto; il secondo è la postura
assunta dalle forze sconfitte.
Tanto in Forza Italia quanto nel Pd
è in atto un dibattito su come rapportarsi con i vincitori. È vero che
Berlusconi ha un legame storico con il Carroccio, ma è altrettanto vero
che rincorrere Salvini per stringere accordi alle Regionali, mentre il
leader della Lega governa con Di Maio a livello nazionale, offre
un’immagine di subalternità e prelude al passaggio di consegne in una
coalizione che cambierebbe così la sua natura: non più a trazione
popolare ma a trazione populista.
Sul fronte opposto i
Democratici, quando andranno a congresso, dovranno sciogliere il nodo
che già li divide e preannuncia di spaccarli: si può governare insieme
ai grillini o il Pd deve restare alternativo al Movimento?
Il
timore, a destra come a sinistra, è di dover scegliere se accucciarsi in
ruoli ancillari o trasformarsi in partiti di testimonianza. Anche
perché Cinquestelle e Lega oggi paiono controllare il sistema da una
posizione centrale rispetto al Pd e Forza Italia, che per tradizione e
provenienza sono impossibilitati a coalizzarsi. Su questo Di Maio e
Salvini fanno affidamento per suggellare la nuova stagione politica. E
il loro esecutivo ha ormai riflessi internazionali.
In vista del
voto per l’Europarlamento, dove viene pronosticata una forte avanzata
del fronte sovranista, gli argini che i partiti tradizionali stanno
tentando di costruire si mostrano come altrettanti indizi a sostegno
della tesi del regime-change.
Come valutare altrimenti la
posizione assunta dal tedesco Weber, candidato di punta del Ppe alla
presidenza della Commissione, che si è detto favorevole al dialogo con i
populisti per il futuro «governo» di Bruxelles? E sull’altro versante,
quale appeal può avere sull’elettorato di sinistra l’idea —
sponsorizzata dal Pd — di costruire un eterogeneo cartello tra Pse,
Macron e Tsipras? Sembra una riedizione dell’alleanza tra Prodi, D’Alema
e Bertinotti, nata per arginare il berlusconismo e che fu foriera di
continue crisi interne.
Insomma, l’impressione è che al momento
tutto sia mosso da una logica emergenziale, quasi di sopravvivenza. La
crisi del sistema ha lasciato le forze che lo hanno guidato prive di
idee e di leader. E il dileggio o l’offesa come forma di reazione
aggiungono un ulteriore indizio alla tesi della nuova fase: il «merde
alors», pronunciato dal ministro lussemburghese Asselborn contro
Salvini, evoca il gesto del socialista belga Di Rupo che nel ’94 rifiutò
di stringere la mano a Tatarella, vicepremier del governo Berlusconi.
E
più i tentativi di risposta si mostrano affannosi, più viene messo in
risalto per contrasto il disegno dei partiti antagonisti, che hanno
costruito nel tempo il loro progetto: i grillini infatti partirono più
di dieci anni fa alla conquista di Roma con il primo «vaffa-day»; e sono
serviti cinque anni a Salvini per risollevare la Lega e trasformarla in
un movimento a dimensione nazionale. La loro prova di governo aiuterà a
capire se un vero processo è in atto o se si tratta solo di una bolla.
Finora nell’esercizio del potere sono risaltati soprattutto visioni e
interessi confliggenti che minacciano costantemente di sfociare in una
crisi.
Ma oggi l’eventuale fallimento di questa esperienza non
garantirebbe ai partiti avversari una rivincita. Per sopravvivere ai
banchi dell’opposizione può bastare far l’elenco delle contraddizioni
(sull’uscita dall’euro), delle retromarce (sulla chiusura dell’Ilva) o
delle incertezze (sui vaccini), che l’alleanza giallo-verde ha già
inanellato. Per costruire un’alternativa serve invece disegnare un nuovo
orizzonte, progettare un rilancio sostenibile dell’economia reale che
aiuti finalmente i cittadini ad innaffiare i loro giardini arsi. E serve
il tempo necessario a far emergere nuovi leader, credibili quanto
capaci di misurarsi anche in un nuovo sistema.