La Stampa 19.9.18
Con “Santiago, Italia”
Nanni Moretti torna al Torino Film Festival
di Fulvia Caprara
I
mesi successivi al colpo di Stato che l’11 settembre del 1973 pose fine
al governo democratico di Salvador Allende, spianando la strada alla
presa di potere del generale Augusto Pinochet. È dedicato a quel periodo
cruciale della storia del Cile e della Guerra fredda il documentario
Santiago, Italia realizzato da Nanni Moretti. Lo presenterà al Torino
Film Festival, di cui è fan di vecchia data e di cui è stato venerato
direttore.
In programma nell’ultimo giorno della rassegna diretta
da Emanuela Martini, il 1° dicembre, e poi, cinque giorni dopo, nelle
sale, distribuito da Academy Two, Santiago, Italia ricostruisce la
vicenda attraverso le parole dei protagonisti e i materiali d’epoca,
concentrando l’attenzione sul ruolo svolto dall’Ambasciata italiana a
Santiago che, in quelle difficilissime ore, offrì rifugio a centinaia di
oppositori del regime di Pinochet, consentendo loro di raggiungere
l’Italia.
Testimone diretto degli eventi, il diplomatico e
scrittore Roberto Toscano, ricorda con chiarezza i fatti e il clima del
periodo: «Sapevo, in modo generico, che Moretti stesse lavorando a
questo film - spiega al telefono da Madrid -, naturalmente mi interessa
molto vederlo». Le memorie di Toscano sono vivide e toccanti: «Abbiamo
cominciato a vedere la gente che saltava il muro dell’Ambasciata per
entrare. Non sapevamo bene che fare. Non esiste l’istituto dell’asilo
diplomatico, nel Diritto internazionale. A un certo punto, siamo stati
equiparati a un Paese latino-americano, come se fossimo il Messico o
l’Argentina, una cosa piuttosto nuova. Così ci è stata riconosciuta la
facoltà di concedere legittimamente l’asilo diplomatico».
Il
flusso della gente in fuga continuava ad aumentare: «Avevo il compito di
fare le interviste. Dovevano spiegare chi erano e perchè chiedevano di
essere rifugiati. C’erano persone comuni, non tutti erano grandi
personalità della politica. Tra loro c’erano anche guardie del corpo di
Allende e dirigenti del partito. Alcuni sono rimasti da noi in
Ambasciata anche per un anno».
Intorno alla roccaforte italiana
l’atmosfera diventava sempre più tesa: «Ne abbiamo accolti molti, circa
600. Sono andato tante volte ad accompagnare all’aeroporto chi partiva
perchè aveva ottenuto il permesso». Man mano che passavano i giorni,
rievoca Toscano, «il materiale umano è molto cambiato. I primi arrivati
erano come lei e me in questo momento, intatti. Dopo iniziammo a vedere
persone che erano passate attraverso la macchina repressiva». Un giorno,
aggiunge Toscano, «venne abbandonato davanti all’Ambasciata il corpo di
una ragazza morta sotto tortura. Un segno di sfregio, una
provocazione».
Il documentario di Moretti sottolinea il rapporto
che si era instaurato tra il Cile e il nostro Paese: «L’Italia è stato
uno dei Paesi che hanno messo in pratica un metodo di protezione delle
persone a rischio». Una procedura anomala. «Però, se si è protetti dalle
leggi e dalle consuetudini, lo si fa, per salvare, senza eroismi,
persone in pericolo. In quei giorni mi era sembrato normale fare quello
che stavamo facendo».
Con Allende, dice ancora Toscano, «c’era
stata una stretta di mano, forse durante una mostra, non di più. In Cile
sono rimasto fino a fine ‘74, quando si era insediato Pinochet».
Assistere alla proiezione del documentario di Nanni Moretti sarà
un’esperienza forte: «Di colpi di Stato ce ne sono ancora adesso tutti i
giorni, sono eventi che possono ripetersi. Per questo vale la pena
raccontare questa storia». Per realizzare Santiago, Italia (prodotto da
Sacher Film, Le Pacte, Storyboard Media e Rai Cinema) Moretti è andato
in Cile e in suo onore è stata organizzata una retrospettiva presso
l’Istituto italiano di cultura. Non è la prima volta che Moretti si
cimenta con il genere documentario, basta pensare a La cosa, girato nel
‘90 e dedicato al dibattito che accompagnò «la svolta della Bolognina»
nelle sezioni del Partito Comunista italiano. Adesso tocca al Cile.
Perchè la Storia non si ripeta.