Repubblica 19.9.18
Contro il razzismo basta un gesto di braccia e mani
di Marco Belpoliti
Negli
anni Quaranta David Efron conduceva uno studio per mostrare quanto il
linguaggio non verbale dipendesse dall’ambiente e non da fattori
biologici. Smontando così argomenti cari a una risorgente propaganda
Copertina
arancione, titolo: Gesto, razza e cultura. È il primo volume della
collana Studi Bompiani, sezione "Campo semiotico", diretta da Umberto
Eco. L’autore si chiama David Efron. Il libro è uno studio pioneristico
condotto sotto la guida dell’antropologo Franz Boas, pubblicato per la
prima volta nel 1941 e ristampato nel 1971. Si tratta del saggio
inaugurale d’una disciplina, la cinesica, che studia i gesti umani e più
in generale il linguaggio del corpo. Efron, un giovane ricercatore,
aveva letto i teorici del razzismo nazista e le loro aberranti tesi
sulla razza. Era convinto che la gestualità seguisse precise regole di
significazione.
Aveva scoperto il libro di un canonico italiano,
Andrea De Jorio, La mimica degli antichi investigata nel gestire
napoletano (1832), che partendo dalle immagini dipinte sui vasi greci
aveva tracciato la genealogia dei gesti dei napoletani.
Perciò si
era messo per strada, sotto i grattacieli di New York a osservare due
comunità d’immigrati: gli ebrei arrivati dai ghetti centroeuropei e gli
italiani del Sud; quindi a studiare gli appartenenti ai due gruppi che
avevano cambiato contesto sociale e culturale, essendo arrivati in
America da più tempo.
L’idea dello studio è che i gesti sono appresi dagli ambienti in cui si vive.
Come
spiega nella sua introduzione del 1972 Paul Ekman, il giovane
antropologo mette a punto un dizionario dei gesti realizzando con
l’aiuto di un disegnatore, van Veen, una sorta di stenografia dei
movimenti; nel libro ci sono oltre 150 schizzi. Secondo Hans Günrher,
antropologo del Terzo Reich, esistono quattro razze distinte: la
nordica, l’occidentale, l’orientale e la dinarchica, con conformazioni
psicosomatiche specifiche, come la lunghezza del cranio. Altri teorici
delle razze parlano di "archetipi spirituali" in numero di quattro:
l’Uomo Sferico, gioviale e instabile; l’uomo Parabolico, flemmatico;
l’uomo Piramidale, iperteso e teatrale; l’uomo Poligonale, mutevole e
caotico. Scandagliando testi ottocenteschi Efron mette in luce come si
attribuiscano caratteri gestuali alle razze, che presenterebbero
comportamenti umani legati all’aspetto biologico.
Mentre scende
per strada a studiare i gesti di ebrei e italiani, va anche in
biblioteca e consultare libri del passato sui movimenti espressivi di
mani e braccia in vari paesi ed epoche. Scopre politici inglesi che
gesticolano ampiamente come gli italiani, e altri, come Disraeli, ebreo
inglese, che mostra una assoluta sobrietà gestuale. Una delle più
diffuse abitudini tra gli ebrei, sarebbe quella di toccare
l’interlocutore mentre si parla. C’è la storiella del "maghid",
predicatore ebreo lituano, che a causa di un attacco reumatico non è in
grado di parlare chiaro: «Il mio braccio oggi è molto rauco». E la
affianca al resoconto dei gesti degli inglesi nei caffè all’inizio del
Settecento: nel discutere toccano e torcono i bottoni degli
interlocutori fino a strapparli. Guarda le tavole di W. Hogarth, che
mostrano la gesticolazione dei londinesi della sua epoca. Le note del
libro sono una miniera di osservazioni per una storia dei gesti in
Occidente. Solo un cenno: l’invenzione della "sensibilità" nella cultura
francese pre-rivoluzionaria che produce gestualità altamente nervose e
accentuate in opposizione al costume precedente fondato sui gesti
controllati dei cortigiani, come indicava Baldesar Castiglione.
Efron
frequenta ebrei d’origine polacca e lituana nell’East Side di
Manhattan, e poi italiani provenienti da Napoli e dalla Sicilia a Little
Italy. Il raggio dei gesti degli ebrei dei ghetti è più limitato di
quello degli italiani del Sud; questi, poi, fanno sfoggio di un grado
piuttosto alto di sinergia nell’uso di braccio, avambraccio e mano, come
se fosse un unico movimento concertato a partire dalla spalla. Gli
ebrei tengono la mano in una posizione angolata rispetto
all’avambraccio, mentre l’italiano la mantiene in linea retta con tutto
il braccio; anche la velocità dei gesti è diversa: l’italiano fa
movimenti più fluidi, l’ebreo va in crescendo o diminuendo, o viceversa.
Mentre gli immigrati del Sud Italia toccano più il proprio corpo che
quello dell’interlocutore, gli ebrei dei ghetti fanno il contrario. Sono
271 pagine di descrizioni, disegni, e analisi, con considerazioni sul
rapporto dei gesti degli oratori romani e quelli dei monaci anglosassoni
che utilizzano il "linguaggio dei segni" per comunicare. La quinta
parte del libro è dedicata ai gesti degli ebrei e degli italiani
assimilati a New York.
Efron mostra come passando da un ambiente
culturale e sociale all’altro, i gesti si modificano. Va a osservare gli
"assimilati" alla Columbia University e presso il City College.
Verifica cosa si perde e cosa si acquisisce. Una conoscente gli manda il
disegno di alcuni gesti di un uomo, racconta, e lo sfida a capire a
quale cultura e origine appartiene. Grazie alla sua grammatica e
sintassi dei gesti è in grado di vedere gli influssi di gruppi etnici e
sociali diversi. Va a seguire le lezioni dell’eminente storico dell’arte
Meyer Shapiro, ebreo semi-americanizzato che ha gesti poco espressivi —
parla tenendo una mano in tasca — e segue la cadenza dei pensieri com’è
caratteristico nell’ebreo tradizionale, ma a volte fa sfoggio di gesti
molto ampi.
Bellissime le pagine con i gesti degli italiani per
esprimere riflessione, angoscia, fatica, sorpresa, costernazione.
L’assimilazione porta alla diminuzione dei gesti appresi nel proprio
contesto culturale; molti si americanizzano, anche se non sempre i gesti
d’origine scompaiono. Si attenuano e somigliano a quelli degli altri
americani. Conclusione: alla faccia dei teorici razzisti dell’Ottocento e
degli antropologi nazisti il comportamento gestuale è altamente
condizionato da fattori di natura socio-psicologica.
Naturalmente
Efron lascia aperto il problema su cosa abbia contribuito a modellare i
gesti nelle varie culture. Nato nel 1904, il giovane antropologo
d’origine argentina, dopo la tesi ha operato nella International Labor
Organization per 22 anni, e lavorato con Onu, Unesco e Fao. Andato in
pensione è morto nel 1981 a Ginevra. Gesto, razza e cultura non è più
ristampato dal 1974. Davanti al risorgente razzismo sarebbe bene
ripubblicarlo.