La Stampa 16.8.18
“Restituire i tesori razziati”
La sfida che divide i musei
di Maurizio Assalto
Il
sasso l’aveva lanciato il presidente francese Emmanuel Macron il 28
novembre di un anno fa, durante una visita a Ouagadougou, nel Burkina
Faso: «Non posso accettare che una larga parte del patrimonio culturale
di diversi Paesi africani si trovi in Francia […]. Io voglio da qui a
cinque anni siano poste le condizioni per una serie di restituzioni
temporanee o definitive del patrimonio africano all’Africa».
Un’inversione di 180 gradi rispetto al suo predecessore François
Hollande, che appena sei mesi prima aveva risposto di no a una precisa
richiesta di restituzione da parte del Benin.
Poteva sembrare una
semplice captatio benevolentiae verso l’ospite africano, e infatti sul
momento lo stagno restò tranquillo. Invece - dalle parole ai fatti - lo
scorso marzo il capo dell’Eliseo ha affidato l’incarico a una coppia
formata dalla francese Bénédicte Savoy, specialista del patrimonio
artistico, docente alla Technische Universität di Berlino e al Collège
de France, e dall’economista Felwine Sarr, professore all’Università
Gaston-Berger de Saint-Louis, in Senegal, autore nel 2016 di un saggio
che ha fatto molto discutere, Afrotopia. Il loro compito, riflettere
sulle condizioni e le modalità della restituzione, e presentare proposte
concrete entro il novembre 2018. Cioè tra poco più di due mesi. E
questa volta, tra i direttori delle maggiori istituzioni museali
europee, le acque si stanno agitando.
«La nostra anima dispersa»
Perché,
sebbene Macron si riferisca ai manufatti frutto dei saccheggi
perpetrati durante il periodo coloniale, o comunque acquisiti attraverso
transazioni sospette, bisogna considerare che nelle collezioni francesi
sono circa 70.000 gli oggetti di origine africana. E, di questi, 53.000
nel museo parigino del Quai Branly: cinque volte quelli posseduti dal
Théodor Monod d’Arte africana di Dakar, uno dei maggiori del continente.
Tra i vanti del museo in riva alla Senna sono le statue del regno di
Dahomey, razziate con altri tesori dal generale Alfred-Amédée Dodds nel
sacco dell’allora capitale dell’attuale Benin, 1892-94: oggi il Paese
rivendica dalla Francia dai 4500 ai 6500 oggetti, fra troni, porte di
legno scolpito, scettri reali. Circa 3000 sono invece i pezzi
senegalesi, che salgono a oltre 5000 se si conteggia anche il materiale
iconografico. Ma il primato spetta al Camerun, che tutto compreso
contribuisce con ben 15.169 reperti. E il problema, sia pure in termini
più contenuti, può valere per il British di Londra come per l’Africa
Museum di Tervuren, in Belgio, per il futuro Humboldt Forum di Berlino e
tanti altri. Il 90% del patrimonio storico-artistico dell’Africa
sub-sahariana (quello della parte settentrionale ha patito gli effetti
dell’iconoclastia islamica) si trova attualmente fuori dell’Africa.
«Perché
abbiamo lasciato portare via la nostra anima ai quattro angoli del
mondo?», è la domanda (retorica) dello scrittore kenyota Ngugi Wa
Thiongo. Una risposta terribilmente ironica l’aveva fornita fin dal 1934
l’etnologo francese Michel Leiris, nel suo libro-denuncia L’Africa
fantasma: «Si saccheggiano i negri, con il pretesto di insegnare al
mondo a conoscerli e amarli, in fin dei conti a formare altri etnografi
che andranno a loro volta a amarli e a saccheggiarli». Ora il duo
Savoy-Sarr è deciso a rimettere le cose a posto. Intorno a loro si è
riunito un vasto comitato di conservatori e direttori di musei europei e
africani, giuristi, storici dell’arte, galleristi, e il 1° giugno si
sono ritrovati tutti a Dakar in una conferenza internazionale sotto
l’egida dell’Unesco, dal titolo «Circolazione dei beni culturali e
patrimonio condiviso».
«Questi beni hanno un’anima», ha ribadito
al consesso Patrice Talon, il presidente del Benin, spiegando che devono
tornare «nelle terre dove sono stati creati, là dove tutto è in accordo
con la loro essenza, e la loro storia rivela la loro grandezza
piuttosto che il loro asservimento». Non solo, «la restituzione
costituisce una giusta riparazione del pregiudizio storico e un mezzo di
lotta contro la povertà, un fattore capace di creare impiego e
ricchezza, uno strumento di sviluppo socio-economico». A chi obietta che
l’Africa non è pronta per accogliere e esporre tanti tesori, gli
interessati ribattono che Paesi come il Sudafrica, il Kenya, il Mali, lo
Zimbabwe ospitano già importanti musei, mentre altri tre, progettati
secondo gli standard internazionali, si stanno costruendo in Benin.
L’Italia ha già ridato
Così,
anche se Savoy e Sarr spiegano che torneranno in Africa soprattutto gli
oggetti dotati della maggiore carica simbolica, i direttori dei grandi
musei internazionali si agitano. Perché si sa come le cose cominciano,
ma quando si apre la breccia… Tanto più che, almeno in Inghilterra e in
Germania, le opinioni pubbliche paiono favorevoli all’atto riparatorio,
per lavare i sensi di colpa legati al passato coloniale. In Italia se ne
è parlato poco, perché il tema è meno sentito, essendo stato il nostro
colonialismo più limitato nello spazio e nel tempo (il bottino più
rilevante, l’obelisco di Axum, è tornato in Etiopia, tra le polemiche,
nel 2005), ma altrove il dibattito si infiamma: restituire o non
restituire?
C’è da aggiungere che da noi prevalgono i musei legati
al territorio, essendo il nostro un Paese «fonte», piuttosto che
«ricettore». Con l’eccezione dell’Egizio di Torino, che però non corre
rischi avendo acquisito tutto legalmente, al di fuori di avventure
coloniali. Ma il problema, se non altro su un piano teorico museologico,
investe anche il suo direttore Christian Greco: davvero la restituzione
è la risposta unica e sufficiente per i danni commessi nel passato? Non
ci può essere una forma di compensazione più utile per tutti, più
conforme a un’idea di cultura come patrimonio universale e, soprattutto,
non riducibile al solo elemento materiale? Sono alcuni dei temi
sollevati nell’intervento che ospitiamo in questa pagina.
(GERARD
JULIEN/AFP) - Le grandi statue reali del Regno di Dahomey (attuale
Benin), datate tra il 1890 e il 1892 e razziate a fine ’800 dal generale
francese Alfred-Amédée Dodds: tra i tesori del parigino Musée du Quai
Branly, sono ora rivendicate dallo Stato africano