La Stampa 16.9.18
L’Europa nella morsa delle tribù
di Maurizio Molinari
La
rivolta del ceto medio contro diseguaglianze e migranti alimenta un
tribalismo politico che indebolisce gli Stati nazionali nell’Ue e si
annuncia come il protagonista delle elezioni europee di fine maggio che
possono stravolgere la composizione del Parlamento di Strasburgo.
Gli
Stati nazionali dell’Ue sono in affanno nell’affrontare questa doppia
sfida perché le rispettive leadership politiche ed economiche appaiono
largamente impreparate. L’arrivo dei migranti ha subito un’accelerazione
dal 2015, su impatto della guerra civile siriana, catapultando una
moltitudine di disperati verso l’Ue senza che Bruxelles sia riuscita a
darsi una coerente politica di protezione dei confini, accoglienza dei
profughi ed integrazione dei nuovi arrivati. Tale carenza di unità
nell’azione ha lasciato i singoli Stati soli davanti all’impatto dei
migranti e ciò ha portato ad un risveglio dei nazionalismi, alla
chiusura verso lo straniero e più in generale ad un ritorno alla
dimensione delle piccole patrie.
È un domino di emozioni,
linguaggi e identità tribali che attraversa l’intera Unione europea
manifestandosi nelle forme più diverse: l’estrema destra polacca o
ungherese ripudia i migranti come appestati, la Cdu di Merkel cede
terreno alle posizioni sui respingimenti dei conservatori bavaresi,
nuove forze populiste si fanno largo in Svezia e Paesi Bassi, il
cancelliere austriaco fa comizi in Alto Adige sui doppi passaporti a
dispetto dell’opposizione di Roma, lo schieramento della polizia
francese fra Ventimiglia e Bardonecchia è oramai massiccio, la Brexit
britannica minaccia di paralizzare Dover-Calais e gli assalti dei
disperati maghrebini alle reti metalliche di Ceuta si moltiplicano. È lo
scenario di un’Europa dove i confini sono tornati prepotentemente
protagonisti alle spese del progetto di spazio comune europeo. Le forze
anti-migranti crescono a vista d’occhio in più Paesi, Italia compresa,
perché l’assenza di capacità - e volontà - degli Stati di trovare
politiche comuni spinge le singole opinioni pubbliche a cercare
sicurezza nel nazionalismo atavico, ovvero nella negazione dell’idea
stessa di Unione europea.
In maniera analoga i Paesi europei
stentano ad aggredire le diseguaglianze economiche frutto della
globalizzazione perché la lotta alla povertà avviene ancora quasi
ovunque con strumenti tradizionali - sussidi, occupazione, sgravi
fiscali - e non con investimenti sulla formazione per poter rigenerare
una forza lavoro - giovane o meno - indebolita e minacciata
dall’innovazione tecnologia. Ciò significa che milioni di famiglie
residenti nelle aree più disagiate del Vecchio Continente, dalla Francia
rurale alla Germania Est, dalle periferie italiane a quelle di Malmoe
si sentono aggredite su due fronti - migranti e diseguaglianze - senza
che nessun leader europeo riesca neanche ad elaborare una soluzione
concreta, innovativa, coraggiosa per soccorrerli.
I partiti della
protesta, populisti o meno, hanno così gioco facile nel presentarsi ai
nastri di partenza della campagna per le europee 2019 puntando a imporsi
su rivali tradizionali espressione di un establishment che oltre ad
essere espressione del Novecento è anche inefficiente. Se la dinamica
non cambierà, il vento populista e sovranista investirà Bruxelles
precipitando le istituzioni verso un pericoloso ritorno alla stagione
della sovranità degli Stati ovvero al periodo pre-Maastricht.
Per
frenare tale china c’è bisogno di un nuovo serbatoio di idee capaci di
assegnare all’Europa ambiziosi orizzonti. Le diseguaglianze per essere
identificate richiedono il superamento dell’attuale formulazione del
Pil, per essere contrastate hanno bisogno di imponenti investimenti
nella formazione ed il motore di tutto ciò deve essere una nuova
dottrina economica il cui obiettivo è riqualificare coloro che sono
stati espulsi dal ciclo produttivo a causa delle nuove tecnologie. Così
come sul fronte dell’immigrazione serve un approccio capace di coniugare
l’inserimento nel mondo del lavoro di lavoratori stranieri qualificati
con l’integrazione di culture che non potrebbero essere più distanti
perché lo Stato di Diritto nelle democrazie avanzate ha nel
multiculturalismo un elemento di forza.
Si tratta insomma di
ridisegnare l’Europa, in maniera a tal punto concreta sulle risorse e
visionaria nelle ambizioni da esprimere una volontà rivoluzionaria
capace di spazzare via ogni tentazione di ritorno al passato più buio.
Ma se nessun leader o partito si assumerà tali responsabilità, l’esito
di maggio è già segnato: uno tsunami populista investirà le istituzioni
europee con conseguenze imprevedibili.